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Borsa, il climate change entra nel 42% dei bilanci di Piazza Affari

È quanto emerge dal report di Deloitte che ha analizzato le relazioni finanziarie di 226 aziende quotate sul listino milanese

di Vitaliano D'Angerio

(AFP)

3' di lettura

Il climate change arriva nei bilanci delle società quotate sul listino milanese. Il 42% delle 226 aziende monitorate dagli analisti di Deloitte fa espliciti riferimenti al cambiamento climatico nella relazione finanziaria. I dati emergono dal report su “L’informativa climate
change nei bilanci 2019 delle società italiane quotate”
. L’altra faccia della medaglia è che ben 131 società di Piazza Affari (il 58% appunto) non fornisce alcuna informativa in relazione ai rischi legati al clima. C’è da sottolineare che lo studio non ha analizzato, volutamente, le dichiarazioni non finanziaria (Dnf) dove si trovano i riferimenti all’innalzamento delle temperature e alle contromisure messe in atto dalla singola azienda.

«L’analisi ha riguardato il bilancio d’esercizio e il bilancio consolidato (2019, ndr), quest’ultimo per le società che lo predispongono, nonché la relazione sulla gestione ad essi correlata – viene spiegato nel documento –. Si è invece esclusa dall’analisi, l’informativa fornita nella dichiarazione non finanziaria, salvo tale informativa non sia inclusa nella relazione finanziaria consolidata. L’obiettivo dell’analisi, infatti, vuole essere quello di analizzare in modo specifico la trattazione del rischio climate change nel bilancio, nonché le conseguenti interrelazioni – in tale ambito – in termini di rischi, di valutazioni e di informativa fornita».

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Informazioni e livelli di trasparenza

Il report va nel dettaglio sul livello di trasparenza delle 95 aziende che hanno fornito informazioni sul climate change. E qui si scopre che «la maggior parte delle società analizzate ha fornito una informativa con un livello di approfondimento “basso” (41%) o “medio” (39%), mentre soltanto il 20% fornisce una informativa con un livello di dettaglio “alto”». Quindi c’è un’ampia discussione sul cambiamento climatico nelle pagine dei bilanci delle quotate italiane; quando si passa però alla cosiddetta “messa a terra” di tali informazioni vi è qualche problema come hanno già mostrato precedenti studi.

A parziale giuistificazione, c’è la perdurante assenza di standard internazionali come rileva Massimiliano Semprini, partner di Deloitte e Leader italiano Ifrs centre of excellence: «Un ostacolo rilevante all’affermazione della rendicontazione sul climate change è l’assenza di metriche universali. L’introduzione di standard di riferimento e requirement minimi potrebbero costituire elementi guida per gli addetti ai lavori ma soprattutto criteri oggettivi per consentire una comparabilità delle informazioni fornite».

I settori e le risposte

C’è inoltre un secondo livello di interpretazione dello studio, andando in particolare a scandagliare i settori delle aziende: «La maggior parte delle società – viene evidenziato dagli analisti Deloitte – che ha fornito un alto livello di dettaglio nell’informativa climate change appartiene ai settori oil, gas & chemicals e power & utilities e in misura minore, ma comunque significativa, insurance e banking».

Non è però questione soltanto di settore ma soprattutto di consapevolezza e convinzione del management. Ci sono bilanci e documenti «che fanno trasparire una differente sensibilità del management alle tematiche climate related anche in considerazione della non obbligatorietà e dell’assenza di un framework di riferimento, nonché al grado di esposizione della singola realtà a spinte di mercato, che inevitabilmente influenzano il taglio dell’informativa fornita».

Conclusioni

C’è ancora molta strada da fare dunque almeno a livello di informativa legata al climate change. «L’impressione complessiva che si desume dallo studio effettuato è quella di un management consapevole dei rischi correlati al climate change, con particolare focus sui profili gestionali e di business – conferma Mauro Di Bartolomeo, national professional practice director di Deloitte –. Sembra invece ancora mancare una correlazione esplicita tra informativa fornita in merito alla valutazione dei rischi e i relativi riflessi nel contesto dell’elaborazione delle stime contabili potenzialmente impattate e più in generale della valutazione delle poste di bilancio».

È necessaria allora una maggiore integrazione fra informazioni finanziarie e quelle non finanziarie. Su questo versante ci penserà molto probabilmente l’Unione europea con la nuova versione, l’anno prossimo, della direttiva sulle Dnf per le società quotate.

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