Borse, il Bund «fiuta» la recessione. E anche i BTp possono tirare il fiato
La riduzione del livello generale dei tassi sovrani mette sotto un’ottica differente le discussioni attorno al meccanismo anti spread. Attenzione però alle scadenze brevi.
di Maximilian Cellino
3' di lettura
I mercati temono l’inflazione (e le azioni messe in atto dalle Banche centrali per combatterla) ma fiutano ormai la recessione. La conferma arriva dal comportamento delle Borse e soprattutto dei titoli di Stato in una giornata come quella di martedì 26 luglio, in cui l’allarme del Fondo monetario internazionale sulla frenata globale ormai quasi inevitabile ha finito per relegare pressoché in secondo piano l’attesa per la Federal Reserve e per il nuovo aumento dei tassi Usa, di 75 o addirittura 100 punti base.
Un Bund «dimezzato»
Piazza Affari ha chiuso in calo dell’1%, imitata dal resto d’Europa e pure da Wall Street, dove a indurre alla cautela sono anche le trimestrali societarie poco brillanti. Ma è soprattutto la discesa del rendimento del Bund decennale sotto la soglia dell’1% (0,93%, minimi da due mesi) a incarnare in tutto e per tutto quello che gli operatori di mercato chiamano in gergo recession trade. Soltanto quaranta giorni fa il titolo di Stato tedesco viaggiava su tassi quasi doppi rispetto agli attuali: livelli dove a sua volta era giunto dopo una rincorsa partita dai valori negativi di inizio anno e che pochi avevano pronosticato.
Da quel momento in poi gli investitori hanno smesso di mettere in cima ai propri pensieri l’inflazione innescata dalle politiche monetarie (e fiscali) eccezionalmente espansive con cui si sono combattute le conseguenze economiche della pandemia e spinta ulteriormente dal conflitto Russia-Ucraina per concentrarsi sul passo successivo: quella recessione che anche le stesse contromosse aggressive delle Banche centrali finiscono per avvicinare. La Germania, che non a caso ha secondo lo stesso Fmi ha una probabilità di frenata del 25% contro il 15% degli altri Paesi del G7, rappresenta quindi una sorta di caso di scuola con i suoi Bund.
I riflessi sui BTp
Non è però l’unico esempio perché i rendimenti sono ovunque in ritirata: in Europa ovviamente, ma anche negli Stati Uniti dove il Treasury decennale si muove adesso attorno al 2,75% contro il 3,4% di metà giugno. E pure in Italia, nonostante l’impasse politico tenda ad aumentare il divario dei nostri BTp rispetto ai Bund, i tassi del debito si sono ridotti, almeno sulla scadenza decennale: 3,34% al momento, dieci centesimi in meno rispetto ai giorni successivi alle dimissioni di Mario Draghi, ma soprattutto a debita distanza dal picco del mese scorso fissato al 4,27 per cento.
Lo sguardo della Bce
Il ridimensionamento dei costi a carico del Tesoro, almeno a confronto di un mese fa, permette anche di considerare sotto un differente aspetto le discussioni che hanno accompagnato la rivelazione (almeno in parte) dei meccanismi alla base del Transmission protection instrument (Tpi), lo scudo anti spread attraverso cui si intende salvaguardare l’effettivo funzionamento della politica monetaria. «Nelle complesse e volutamente ambigue regole di ingaggio ritengo che il livello generale dei tassi giochi un ruolo non trascurabile», conferma Marco Valli, responsabile della ricerca globale di UniCredit.
Avere uno spread a 250 punti base o oltre quando il tasso del Bund si avvicina al 2 per cento, questo il ragionamento di base, è sicuramente diverso rispetto allo scenario di oggi con il tasso tedesco in ritirata sotto l’1 per cento. «Nel primo caso - puntualizza Valli - i rendimenti dei BTp rischiano di avvicinarsi a livelli che potrebbero ostacolare il sentiero di discesa del nostro rapporto debito-Pil: una differenza importante anche per la psicologia del mercato, che renderebbe l’Italia più esposta a un attacco speculativo e vedrebbe quindi una maggiore probabilità di intervento Bce tramite il Tpi».
Questione di scadenze
La discrezionalità rimarcata anche durante la conferenza stampa della settimana scorsa da Christine Lagarde riguarda presumibilmente anche altri aspetti, quali la rapidità dei movimenti e soprattutto il fatto che si allarghino alle scadenze brevi del debito. «Sono quelle che riflettono maggiormente la probabilità di un evento di credito - spiega Valli - ed è quindi fondamentale per la Bce che restino ben “ancorate” alle aspettative di politica monetaria».
Le tensioni maggiori in occasione della crisi di Governo appena alle spalle si sono in fondo viste sui titoli del Tesoro con durata residua più ravvicinata. E anche effettuando il confronto con i picchi raggiunti a giugno, lo spread decennale si è mantenuto sostanzialmente invariato (da allora è anzi leggermente sceso da quota 250), mentre sui titoli a due anni il divario con la Germania si è allargato da 90 a oltre 130 punti base. La curva dei tassi dei BTp si è quindi «appiattita» in misura maggiore: un segnale da non sottovalutare, che non sarà comunque sfuggito a chi sorveglia il debito italiano.
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