Borse di studio con i soldi delle mafie, la Fedeli ammette: «Nessuno si è attivato»
di Marzio Bartoloni
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Le almeno 10mila borse di studio da finanziare con i soldi confiscati alla mafia non sono mai arrivate agli studenti perché nessuno si è attivato «per l’avvio del procedimento». L’ammissione che suona come una vera e propria beffa - dopo la denuncia del Sole24Ore.com - è della ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca, Valeria Fedeli che in risposta a un question time ha spiegato che «nessuna delle Amministrazioni interessate, compreso il Miur che poteva avere un ruolo propositivo, si è resa parte attiva». Per questo la ministra ha assicurato che «ora» farà di tutto «per sollecitare l'attuazione della norma», puntando a inserire le risorse già nell’attuale legge di bilancio.
La misura approvata quattro anni fa
La vicenda comincia nel novembre del 2013 quando in Parlamento viene approvato un emendamento al decreto legislativo n. 159 del 6 settembre 2011, meglio noto come Codice delle leggi antimafia, che prevede che una piccola parte di queste somme, pari al 3%, venga usata per finanziare il Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio. Mentre il restante denaro proveniente dalla lotta alle mafie rimanga all’interno del Fondo unico della Giustizia. La norma però da allora non è stata mai attuata e finora nessuna borsa di studio è stata finanziata con quella misura nata per redistribuire ai giovani i soldi delle mafie che soprattutto al Sud ipoteca il futuro di molti giovani. Dopo 4 anni la questione è tornata in Parlamento con una interrogazione della deputata di Sinistra italiana Celeste Costantino che si è avvalsa del question time per chiedere alla ministra Fedeli chiarimenti in merito al mancato trasferimento dal 2014 di queste risorse che avrebbero potuto finanziare perlomeno 10mila borse di studio.
La risposta del ministro
Nella sua risposta al question time la ministra Fedeli ha segnalato che il finanziamento non è mai confluito per via della complessità del meccanismo contabile che vede innanzitutto come prima parte in causa l’Agenzia che gestisce i beni confiscati alla mafia vigilata dal ministero dell’Interno e che versa quanto confiscato al Fondo unico della Giustizia, gestito da Equitalia Giustizia spa. A sua volta quest’ultima «storna le somme in conto entrate al bilancio dello stato per essere riassegnate con decreto del Mef allo stato di previsione della spesa del ministero della giustizia. Il 3% del totale delle somme indicate deve confluire nel Fondo integrativo statale». Ma come ha spiegato la ministra «a decorrere dall’anno di entrata in vigore della norma e per gli anni precedenti, nessuna delle amministrazioni interessate, ivi compreso il Miur, che poteva avere un ruolo propositivo, si è resa parte attiva per un procedimento così complesso». Da qui la conclusione laconica della Fedeli che ha avvertito che «ora» il ministero si è attivato «per sollecitare l’attuazione della norma ed ottenere nel più breve tempo possibile e segnatamente, cioè in sede di assestamento di bilancio per l'anno 2018, il risultato concreto necessario».
La reazione degli studenti
Per gli studenti i chiarimenti della ministra Fedeli sono «agghiaccianti», come sottolinea la coordinatrice dell’Udu, Elisa Marchetti: «Il motivo per cui, dal 2014 a oggi i fondi confiscati alla mafia non sono stati distribuiti è perché nessuna delle istituzioni e ministeri competenti si sono mossi per attuarla». «È una responsabilità grave», aggiungono gli studenti soprattutto in un Paese come il nostro dove le borse di studio oscillano tra il 9% e l'11%, contro il 40% di Francia e il 25% della Germania. Senza contare poi che da anni migliaia di studenti che ne avrebbero diritto non ricevono la borsa di studio per mancanza di risorse. Anche per la deputata Costantino che ha posto l’interrogazione nel question time la risposta della ministra «è non solo non soddisfacente, ma vergognosa. Noi chiediamo conto di una norma inserita in una legge approvata nel 2013 su nostro impulso e oggi, a fine legislatura, la ministra Fedeli ci dice che quella norma non è stata rispettata. Una vergogna inaccettabile».
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