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Euro, dollaro, sterlina e yuan: chi vince e chi perde nella guerra di Trump

La moneta unica si è deprezzata rispetto alla valuta statunitense. Influiscono le politiche monetarie, il differenziale dei tassi e le aspettative di crescita economica. Attenzione all crisi di Hong Kong. Il peso della Brexit sul “pound”

di Vittorio Carlini

(Marka)

5' di lettura

Una guerra delle monete. Uno scontro che, da una parte (Washington), è voluto; mentre, dall’altra (in particolare l’Europa), si è costretti ad affrontare. Il campo dove si incontrano le diverse forze è il mercato dei cambi: in primis euro e dollaro. Poi il rapporto dollaro-sterlina e quello tra il biglietto verde e lo yuan cinese.

Il cambio euro-dollaro
Nell’ultimo anno e mezzo la moneta unica si è deprezzata non poco verso la valuta statunitense. L’euro, dai massimi del 2018 (intorno a 1,24), è calato al livello di circa 1,10 contro il dollaro. «È stato rotto al ribasso -spiega l’analista tecnico indipendente Silvio Bona- l’importante supporto di medio periodo in area 1,11. Ora la divisa unica dovrebbe scivolare ulteriormente verso quota 1,080». Su questo valore il cambio è probabile che rimbalzi. Poi, dal punto di vista tecnico, due sono gli scenari ipotizzabili: o la divisa, interrompendo il trend ribassista, risale oltre 1,14; oppure riprende la strada all’ingiù. «Quest’ultima situazione è l’ipotesi principale - aggiunge Bona -. Con il che il cambio euro-dollaro potrebbe indirizzarsi verso quota 1,05».

L'INDEBOLIMENTO DEL DOLLARO VERSO L'EURO

Fonte: Analista tecnico indipendente Silvio Bona

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La guerra delle tariffe e quella sulle monete
Di là dall’andamento tecnico è indubbio che il cambio euro-dollaro è tra le priorità del presidente Usa Donald Trump. Il quale continua a fare “fuoco e fiamme” nei confronti della Federal reserve. Perché? La lettura da darsi è la seguente. La Casa Bianca, per contrastare l’ascesa tecnologica e commerciale della Cina, ha avviato la nota guerra delle tariffe (cui ieri si è aggiunta la notizia di ulteriori dazi). Si tratta di una strategia, anche a fronte della maggiore forza di Pechino nel riuscire a influenzare lo yuan, chiaramente finalizzata a ridurre le importazioni negli Usa del “Made in China”. Rispetto, invece, al Vecchio continente le mosse sono differenti. Il focus, finora, è soprattutto sul cambio euro-dollaro. Cioè: Trump vuole una politica monetaria più accomodante da parte della Federal reserve. Questa in teoria dovrebbe indebolire il dollaro verso la moneta unica e rendere più difficoltoso l’export da parte dell’Ue.

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Nel mirino c’è soprattutto la Germania che, come ricorda Desmond Lachman dell’American Enterprise Institute, «ha il più alto surplus commerciale al mondo: circa 300 miliardi di dollari». Si tratta di un valore che deriva anche dall’esportazioni verso gli Stati Uniti. La situazione, a ben vedere, aveva già indotto, nell’aprile del 2016, l’amministrazione Obama ad inserire Berlino nella lista dei soggetti che potenzialmente manipolano i cambi. «I contrasti - aggiunge Lachman - con Trump si sono aggravati». Di qui, oltre alle minacce dell’applicazione di dazi pure contro l’Europa, la battaglia sul fronte delle valute. Come andrà a finire? Difficile dire. Alcuni esperti prevedono un andamento laterale del cambio euro-dollaro fino alla fine dell’anno. Altri , invece, ipotizzano la discesa della moneta unica finanche a a 1,035.

I perché del dollaro forte
Fin qui alcune considerazioni geo-politiche. Quali però, nonostante il pressing di Trump, le motivazioni del rafforzamento del biglietto verde? Le cause sono molteplici. «La forza del dollaro -spiega Giovanni Cuniberti, responsabile consulenza di Gamma Capital Market - è da riscontrarsi, tra le altre cose, nel mantenimento della supremazia tecnologica tutelata da una struttura giuridico-economica sui brevetti di cui la Cina è ancora carente». Un contesto che «nonostante le turbolenze sul commercio mondiale, si traduce in aspettative di crescita dell’economia a stelle e strisce».

Oltre a questo fa da eco Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim, «sono rilevanti le politiche monetarie. Il mercato, dopo la recente riduzione dello 0,25% del costo del denaro da parte della Fed, ha percepito che l’Istituto centrale Usa non ha oggi un approccio aggressivo sui tassi». Il che, inevitabilmente, rinforza il dollaro. Non solo. «Dall’altra parte dell’Atlantico -aggiunge Cesarano -c’è una Bce che, oltre ad avere da tempo i tassi inferiori allo zero, ha indicato come già quest’anno potrebbe dare vita ad un altro programma di acquisto di titoli». Una mossa che, immettendo euro sul mercato, avrà l’effetto deflattivo sulla moneta unica.

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Certo: da un lato bisognerà vedere se il nuovo presidente della Bce, Christine Lagarde, seguirà veramente le orme di Mario Draghi; e, dall’altro, lo stesso governatore Usa Jerome Powell potrebbe convincersi (o essere convinto) nell’intraprendere una strada più accomodante nella politica monetaria. Ciò detto, però, allo stato attuale il combinato disposto delle due condizioni agevola il dollaro forte. «Quella valuta Usa -tiene a precisare Cuniberti - che è spinta verso l’alto anche dal carry trade». Vale a dire? «Gli operatori si indebitano in euro per poi investire, ad esempio, sui T-Bond americani. Così facendo, al netto dell’effetto cambio, lucrano la differenza tra il rendimento del Treasury e il costo del denaro sottozero dell’Europa». Senza dimenticare, peraltro, il rischio geo-politico. Il pericolo dell’ “Italexit”, o del rinnovarsi dello scontro riguardo ai conti pubblici tra Roma e Bruxelles, è una spada di Damocle sull’Unione Europea che può fare saltare il tavolo, spingendo di nuovo al ribasso l’euro.

La sterlina e l’incognita Brexit
Ma non è solamente una questione tra Stati Uniti ed Europa. Altro cambio coinvolto nella guerra delle valute è l’euro-sterlina. Qui siamo in una situazione opposta rispetto al dollaro. La divisa britannica, infatti, è molto calata negli ultimi tempi. Il trend è stato causato, tra le altre cose, dalla nomina di Boris Johnson alla carica di Primo Ministro. Il nuovo premier, infatti, non ha escluso la possibilità di una “hard Brexit”. Ovvio che di fronte ad un simile scenario il “pound” sia scivolato all’ingiù. «Dal punto di vista dell’analisi tecnica - afferma Bona - l’attuale livello del cambio (0,91) è vicino ai massimi del 2016». Si tratta di una resistenza, «posta in area 0,94, molto importante. Di conseguenza, al netto di escalation non auspicabili, è difficile che l’euro riesca ad rafforzarsi oltre quel livello».

Il rischio nel Lontano Oriente
Dalla Gran Bretagna alla Cina. Qui il cambio dollaro-yuan viaggia intorno a 6,9. «Bisogna fare attenzione alle dinamiche del Far East - spiega Cesarano-. Le forti tensioni, e scontri, cui assistiamo ad Hong Kong potrebbero essere l’anticamera di una fuga di capitali da quell’area. Si tratta di un’eventualità che, sul fronte dei cambi, potrebbe spingere il dollaro oltre la soglia psicologica di 7 yuan. Il che sarebbe un problema». Perché? «Molte società cinesi - risponde Cesarano- sono indebitate in dollari. Un rialzo cosi forte del cambio le metterebbe in difficoltà. Non voglio essere pessimista ma un simile contesto potrebbe dare il via ad una forte instabilità dell’area».

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