Berlinale

«Both Sides of the Blade», un intenso triangolo sentimentale con un grande cast

In concorso a Berlino il nuovo lungometraggio di Claire Denis: protagonisti Juliette Binoche e Vincent Lindon, due degli interpreti più importanti del cinema francese contemporaneo

di Andrea Chimento

Un’immagine del film «Both Sides of the Blade»

3' di lettura

Un nuovo film di Claire Denis è sempre un evento di rilievo: non fa eccezione «Both Sides of the Blade», ultima pellicola della grande autrice francese, che torna dietro la macchina da presa a quattro anni di distanza dall'ottimo film di fantascienza «High Life», con Robert Pattinson e Juliette Binoche.
Quest'ultima, che era già stata protagonista per Claire Denis ne «L'amore secondo Isabelle» del 2017, veste i panni di Sara, una donna divisa tra l'amore per il suo attuale compagno Jean e il ricordo del grande sentimento vissuto in passato con François.

Quando i due uomini iniziano a lavorare insieme a un nuovo progetto, per Sara sarà l'occasione di rincontrare François ed essere ancora più incerta sui suoi reali sentimenti.

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Scritto dalla regista insieme a Christine Angot, che aveva firmato con lei la sceneggiatura del già citato (e correlabile) «L'amore secondo Isabelle», «Both Sides of the Blade» è un dramma sentimentale doloroso, che mostra la grande capacità della regista francese di trattare con profondità le relazioni umane.

Grandi attori e splendida colonna sonora

Tra gli elementi più importanti del cinema di Claire Denis, c'è indubbiamente il rapporto fondamentale con il gruppo musicale dei Tindersticks, capaci di portare sempre valore aggiunto e nuove forme di lettura alle sue pellicole.Anche in questo caso la musica (e la magnifica canzone sui titoli di coda) riesce a incidere, dando maggiore intensità ed espressività a una pellicola che gioca anche molto con le parole e con le interpretazioni di un cast in formissima.Durante una visione che ha purtroppo qualche calo di ritmo e alcune sequenze poco credibili, i momenti di discussione tra Sara e Jean sono semplicemente straordinari: il merito, oltre al copione, va alle monumentali interpretazioni di Juliette Binoche e di Vincent Lindon, con quest'ultimo che si conferma uno degli attori più rilevanti del cinema europeo contemporaneo.

Con un occhio anche alla pandemia e al racconto degli anni in cui stiamo vivendo, Claire Denis firma così una pellicola forse imperfetta ma ad altissimo coinvolgimento emotivo, che potrebbe entrare nel palmarès finale del Festival di Berlino.Da segnalare che nel corso dell'anno dovrebbe uscire un altro lungometraggio dell'autrice francese: «The Stars at Noon» con protagonista Margaret Qualley.

Una scena del film «Call Jane» di Phyllis Nagy

Call Jane

Altro film presentato in concorso è l'americano «Call Jane» di Phyllis Nagy, una pellicola al femminile con protagoniste Elizabeth Banks e Sigourney Weaver.Ambientato negli Stati Uniti degli anni Sessanta, il film racconta di Joy, una casalinga che rimane nuovamente e improvvisamente incinta. Nonostante gli avvertimenti del medico che la avvisa dei rischi di una nuova gravidanza, il personale dell'ospedale rifiuta di fare per lei un'eccezione in un momento in cui l'aborto era illegale. L'unica speranza per Joy è un gruppo di donne attive per poter aiutare persone come lei.Nota per aver firmato la sceneggiatura di «Carol» di Todd Haynes, Phyllis Nagy esordisce alla regia di un film per il cinema con un prodotto dai temi importanti, incentrato sulla solidarietà femminile e sulle difficoltà di vivere in un periodo in cui la libertà subisce varie limitazioni.Se la base della storia è significativa e i personaggi sono ben scritti, quello che manca a questo film è una vera e propria urgenza per raccontare argomenti come questo. Un po' paradossalmente «Call Jane» è un lungometraggio troppo freddo e didascalico, incapace di riuscire davvero a scuotere come vorrebbe. La confezione è discreta, ma da un film con un soggetto come questo era lecito aspettarsi di più.


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