Bozotti: l'auto elettrica ha il cuore italiano. Vi spiego perché
di Riccardo Barlaam
8' di lettura
È entrato in Stmicroelectronics per la tesi. Una tesi sui transistor. Era il 1975. Da allora Carlo Bozotti, 65 anni, non ne è più uscito. E da studente di ingegneria elettronica, attraverso tante vite, è salito in azienda fino a diventare ceo e presidente. Ruolo che ricopre dal 2005, dopo l'addio di Pasquale Pistorio per raggiunti limiti di età. Tra qualche mese toccherà a lui. Lascerà una multinazionale con 43.500 occupati, di cui 10mila in Italia. Con quasi 7 miliardi di dollari di ricavi nel 2016, che chiuderà il 2017 con 8,2 miliardi di fatturato (+14%), oltre 19 miliardi di capitalizzazione in Borsa e il valore delle azioni da inizio anno aumentato del 94,2%.
St è quotata al 70%, al Nyse, a Milano e a Parigi. Il 30% del capitale è controllato alla pari da governo italiano e francese. Unico modello di collaborazione paritetica tra Roma e Parigi. Che qualcuno, viste le ultime tormentate vicende su Telecom e su Fincantieri, vorrebbe ora replicare.
Bozotti si prepara nel 2018 a farsi da parte. Il suo successore sarà probabilmente un francese. «Non è importante la nazionalità ma che sia la persona giusta per fare andare avanti bene l'azienda». Nei dodici anni con lui alla guida, St è cresciuta enormemente e, soprattutto nell'ultimo periodo, ha saputo ripartire e reinventarsi.
La sua è una storia di quarant'anni di vita passati nella stessa azienda.
Mi sembra l’altro ieri quando sono entrato per la prima volta in St. Ho fatto tante cose in questi anni. Ho cominciato come product manager dei primi circuiti per auto digitali e analogici. Il primo circuito nel 1981 era un regolatore di tensione che producevamo per la Golf di allora. Quando la società si è fusa con la francese Thompson mi hanno affidato la divisione telecom. C’erano ancora i telefoni fissi. Nel 1988 sono diventato responsabile del marketing strategico. Nel 1991 il responsabile della società negli Stati Uniti e ci siamo trasferiti con la famiglia a Lincoln, nel Massachusetts.
Dalla produzione al sales.
Il primo giorno di lavoro negli Usa è stato il giorno in cui hanno arrestato Gorbaciov in Russia. In quegli anni la divisione americana è cresciuta tanto, siamo passati da 300 milioni a 1 miliardo di dollari di fatturato. Poi sono tornato in Europa dove sono diventato responsabile dei prodotti fino a quando nel 2005 mi hanno scelto per succedere a Pistorio.
Un bilancio dei suoi 12 anni da ceo. Quali sono stati i momenti più difficili?
Ce ne sono stati diversi. Nel 2008 c’era l’euro a 1,50. Ed è stato un problema per noi perché tutti i nostri prezzi sono in dollari. Nel 2009 è scoppiata la crisi globale dei mutui subprime. Ma gli anni più difficili sono stati quelli dopo il crollo di Nokia, nel 2011-2012. Nokia era il nostro primo cliente. Da due miliardi di dollari di fatturato di Nokia siamo passati a zero. Ed è stato complicato. Non è andata bene neanche la nostra joint venture con Ericsson per costruire il cuore dello smartphone perché il mercato della telefonia europea è crollato insieme con Nokia e Sony Ericsson.
Come avete fatto a ripartire?
È stato un percorso. Abbiamo rivisto tutta la nostra strategia. Abbiamo deciso di non abbandonare lo smartphone ma di concentrarci sulla “periferia” del prodotto, che è diventata sempre più importante. Non più il processore, il cuore digitale. Ma le cose che gli stanno attorno: sensori per fast charger, wireless charger, sensoristica, giroscopio, autofocus per le foto. Sono tutti nostri microprocessori. Nelle più recenti versioni di smartphone sono nostri i sensori di immagini a 3d.
È stato suo il merito di questa svolta?
È stato un lavoro di team. In queste cose non si decide da soli. È un processo fatto anche di errori, di aggiustamenti ma di squadra.
Quanto spende St in R&D?
St spende ogni anno per la ricerca e sviluppo 1,3 miliardi. Sommandola con il Capex, la spesa per migliorare la capacità produttiva, tale somma sale a 2,6 miliardi di dollari. Un bel indicatore che mette in evidenza la spinta verso l’innovazione ma anche l’evoluzione produttiva di St verso le nuove applicazioni sui nostri microprocessori che sono suddivise in tre settori principali: automotive, industria, consumer.
E' vero che all'interno in ogni auto e in ogni smartphone di qualsiasi marca c'è almeno un componente St?
Sì. St ha 100mila clienti. Grandi clienti importanti, ma anche tante Pmi. Noi vendiamo tecnologia ai componentisti o alle società automotive come alle grandi società che costruiscono elettronica di consumo. Nella nuova Audi 8 ci sono mille prodotti St.
St è anche all'avanguardia nell’Internet of things…
Abbiamo puntato molto sull’Internet of things, realizzando la tecnologia per connettere gli oggetti, attraverso i microcontrollori a 32 bit. Siamo partiti con il primo pezzo nel 2007. I microcontrollori sono diventati il cuore di tutte le nuove applicazioni dell’Iot. Quest’anno siamo arrivati a vendere un miliardo di microcontrollori. Da un pezzo a un miliardo di pezzi, con 50mila clienti. La prima Wii aveva i nostri sensori che registravano il movimento del corpo. La nuova Nintendo Switch ha 5 o 6 prodotti St al suo interno. E poi c’è tutta la sensoristica di forza, gli accelerometri che misurano il movimento, prodotti di potenza intelligente come gli sportwatch e gli smartwatch, la lavatrice connessa o una penna digitale che riconosce la scrittura. Dentro ci sono i nostri sensori.
Due miliardi di fatturato in meno non sono pochi. Non ha mai avuto timore di non farcela a ripartire?
Certo che sì, ma abbiamo proprio deciso di cambiare direzione. Siamo partiti con la nostra nuova strategia nel 2013. Quattro anni di corsa. La struttura di capitale dell'azienda è rimasta sana, nonostante i 2 miliardi di perdita di fatturato di Nokia. Con una posizione finanziaria sicura e dividendi interessanti che abbiamo continuato a distribuire ai nostri azionisti.
Ci sono stati dei punti fermi in questa nuova strategia di St?
La cosa più importante era mantenere il focus sulla ricerca e sviluppo. È il nostro valore, la marcia in più. Fondamentale per cercare di stare sempre un passo avanti rispetto alle richieste dei clienti. In St abbiamo 7.500 progettisti. È un settore molto avanzato. Dove si cerca di stimolare l'iniziativa per trasformare le intuizioni in prodotti.
Come avete fatto con gli esuberi?
Abbiamo ricollocato migliaia di ingegneri nei nuovi progetti. E cercato di limitare il più possibile le uscite dalla società.
Qual è il segreto?
Cercare di essere i più bravi nelle cose che abbiamo deciso di fare. Ovvio che non possiamo fare tutto. Ma ci siamo concentrati su alcune cose e lì abbiamo sempre cercato di innovare e di essere leader.
Che cosa significa in pratica?
Ad esempio, nelle auto elettriche ci siamo concentrati sull’elettronica per creare una interfaccia più intuitiva. Insomma cerchiamo di sviluppare l'innovazione nelle cose che servono in tre fasi: nella tecnologia, nello sviluppo del prodotto e nella sua applicazione in un dispositivo per offrire una soluzione ai nostri clienti. La collaborazione con i clienti è fondamentale per capire le loro esigenze, quello che cercano, dove vogliono arrivare.
Innovazione ma anche gestione di una multinazionale. Per giunta italo-francese.
Ci vuole rigore, disciplina, per riuscire a portare avanti i rapporti con 100mila clienti in modo dedicato, ognuno con delle specificità.
Rivendica un primato del made in Italy? St è una delle poche realtà tricolori nell'hi-tech globale con queste dimensioni...
La creatività italiana è importante. Ma bisogna lavorare duro per essere all'altezza dei clienti leader di mercato. Se Samsung o Apple ti chiedono una conference call di notte, ed è una cosa abituale, la devi fare.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo alla fine pagano. L'innovazione non si improvvisa…
Sembrano tanti 1,3 miliardi di dollari per la ricerca & sviluppo. Ma in realtà non possiamo fare tutto. Bisogna fare delle scelte. Restare focalizzati. Spesso poi le nostre innovazioni sono condivise con i nostri clienti. C’è un timing molto preciso per i nuovi prodotti. Se Apple deve uscire con un nuovo apparecchio bisogna essere pronti per tempo. Non si può sbagliare.
I principali clienti di St quali sono?
Nella top ten ci sono, nell’ordine, Bosch, Continental, Apple, Samsung, Huawei, Hp, Seagate, Cisco, Western Digital. Al decimo posto in questo momento c’è Delta, società di Taiwan che produce alimentatori di potenza.
Un bel riconoscimento…
I grandi clienti sono importanti, ma ancora di più lo sono i 100mila clienti medi e piccoli che seguiamo. Dal 2015 a oggi sono cresciuti enormemente.
State investendo molto sull’auto elettrica?
L’auto elettrica è formata da tre componenti importanti: il motore, l’inverter che converte la potenza, e la batteria. Nell'inverter siamo i primi al mondo. A Catania hanno realizzato i primi inverter in carbon silicio, più avanzati rispetto a quelli in silicio, con meno dispersione di potenza, capaci di far risparmiare il 20% di energia rispetto a quelli tradizionali. In Cina abbiamo appena firmato un accordo importante con istituzioni governative dell’Accademia delle scienze cinesi e un pool di sei costruttori di batterie per lo sviluppo del monitoring e il management delle nuove batterie, quelle con 600 chilometri di autonomia.
Che cosa vi aspettate da questo mercato?
Noi crediamo che nei prossimi anni il mercato dell’auto elettrica esploderà. Siamo già avanti nell’industrializzazione di questi prodotti e siamo pronti ai grandi numeri. Ci sono circa 95 milioni di auto nel mondo. Se il 5% finirà ai veicoli elettrici e ibridi per noi vorrà dire una cifra enorme: abbiamo calcolato un fatturato dei nostri prodotti di almeno 500 dollari per ogni nuova auto venduta. Il 5% sembra poco ma passare da poche centinaia di migliaia di auto elettriche vendute all’anno a 4,5 milioni nel giro di 4-5 anni per noi significherà 2,5 miliardi di dollari di fatturato in più. Tutto, la R&D e la produzione, per l’elettrico passa da Catania.
L’altro grande filone di sviluppo nell'auto è quello legato alle tecnologie per la sicurezza e la guida assistita…
Siamo all’avanguardia nella produzione di microcontrollori, i dispositivi che nell'auto connessa sono dappertutto. Le tecnologie che stanno attorno a tutto ciò che è la sicurezza a bordo macchina. Costruiamo i sensori che permettono il controllo della distanza di sicurezza. Il superamento delle strisce bianche. Gli ostacoli che possono presentarsi davanti all’auto. I sensori che controllano dal parabrezza lo stato di sonno del guidatore dal numero di battiti di ciglia. Siamo i primi al mondo nei sistemi Adas (Advanced driving automotive systems). Nello stabilimento di Agrate inoltre stiamo creando un chip, il più complesso mai realizzato, dedicato all’auto a guida autonoma: sarà pronto nel 2020.
Come vede il tessuto produttivo in Italia?
In Italia c’è una base produttiva multidisciplinare e frammentata. Meccanica, meccatronica, in tanti campi abbiamo una leadership. Ci sono tante possibilità nella digitalizzazione della produzione. Il ministro dell'industria tedesco qualche tempo fa mi ha raccontato che il 50% delle Pmi tedesche non ha ancora compreso l'importanza delle digitalizzazione dei processi. L’industria italiana è seconda in Europa dopo quella tedesca. Ma c’è ancora tanto da fare sulla digitalizzazione.
La governance paritetica tra Italia e Francia su St è un caso unico?
Sì, è un caso unico. I due governi hanno una partecipazione del 30% del capitale a 50 e 50. In perfetta parità. Con noi questa struttura di governance ha funzionato. Ha permesso all’azienda di crescere nei settori dove abbiamo scelto di puntare e dove ora siamo leader. Ma siamo una multinazionale: in Francia facciamo il 2,5% del fatturato, in Italia appena l’1 per cento. Il controllo pubblico ha contribuito a preservare la R&D nel momento più difficile. Se fossimo stati americani ci sarebbero stati molti più tagli.
Tra qualche mese andrà in pensione…
Ho preparato bene il campo. C’è un team di persone abituato a lavorare insieme.
Successore italiano o francese?
Non è importante se sarà italiano o francese, ma più che continui a far andare bene l’azienda.
Che cosa farà dopo St?
Mi chiederanno di sedere in qualche board. Finalmente potrò dedicarmi allo studio della musica, al pianoforte, e allo studio della fisica quantistica. Mi piacerebbe dare un contributo all’Italia per la digitalizzazione delle Pmi.
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