Ferrero e Barilla i marchi italiani più forti, ma i brand made in Italy del food sono fuori dalla top 10 mondiale
La classifica 2021 di Brand Finance Food & Drinks: i prodotti della cucina più amata del mondo hanno molto terreno da conquistare in campo di valorizzazione
di Maria Teresa Manuelli
I punti chiave
4' di lettura
Food italiano, tra i più amati al mondo ma poco valorizzato in termini di forza del brand. Nonostante Italia, Francia e Spagna abbiano il cibo più apprezzato dai consumatori, le classifiche dei trademark alimentari e soft drink sono dominate da Usa, Svizzera e Cina. Se da un lato il dominio degli americani sulle bevande risulta naturale, lo scarso peso dei marchi italiani del food che emerge dalla Brand Finance Food & Drinks 2021, pubblicata il 31 agosto in occasione dell’inaugurazione di Cibus, stride con l'amore per il cibo italiano emerso nelle analisi condotte dalla stessa Brand Finance.
«Il valore del brand – commenta Massimo Pizzo, managing director Italia di Brand Finance – dipende, oltre che dalla forza con il quale la marca influenza le scelte dei consumatori, anche dall'impatto di immagine e reputazione nel settore specifico e dal modello di business. Inoltre, un brand distribuito in tutto il mondo, rispetto a uno che vive solo in Italia, ha maggiori opportunità di generare valore».
E così a dominare la classifica mondiale dei brand food è Nestlé, con un valore pari a 19,4 miliardi di dollari. Segue il colosso cinese del latte Yili con un valore del brand pari a 9,6 miliardi di dollari. Danone con 8,2 miliardi di dollari sale nella classifica al terzo posto, grazie a un'incremento del 5 per cento.
«Le marche Usa con il 36% del valore, quelle con base in Svizzera con il 15% e quelle cinesi con il 13% – prosegue Pizzo – dominano la classifica con il valore generato da immagine e reputazione. Invece, il peso di Italia con il 5%, Francia con il 6% e Spagna senza alcun brand in classifica si conferma relativamente basso».
Gli italiani in classifica: Barilla e Ferrero leader
Bisogna arrivare fino al 13° posto della classifica per incontrare il primo tra i brand italiani nel food. Barilla è il marchio italiano di maggiore valore che, grazie a un incremento record anno su anno del 20%, raggiunge i 3,3 miliardi di dollari. L'ottima crescita di Barilla dipende anche dal buon rafforzamento della marca che passa da Brand Rating AA+ (molto forte) a AAA- (estremamente forte).
Con un valore pari a 2,6 miliardi Kinder scende dal 15° al 19° posto della classifica 2021 in seguito a una perdita del 23% del valore del brand, ma si conferma brand AAA-, estremamente forte.
Ferrero Rocher con un valore di 2,55 miliardi, sale nella classifica dal 23° al 21° posto. Nutella, con Brand Rating AAA- stabile e con un incremento di quasi il 20% raggiunge il valore di 1,93 miliardi e riesce a scalare 10 posizioni in classifica raggiungendo il 39° posto.«La somma di Kinder, Ferrero Rocher e di Nutella porta Ferrero, con un valore complessivo di 7,1 miliardi di dollari, a possedere l'8° portfolio di brand food a livello globale» puntualizza Pizzo
Gruppo Veronesi, che include il valore originato dai brand Aia, Negroni e dal business dei mangimi, vale quasi 1,17 miliardi. L'upgrading del Brand Rating da A ad A+ non è stato sufficiente a ridurre la perdita del 9,4% in valore del brand e la conseguente perdita di 9 posizioni in classifica dal 59° al 68° posto.
Lavazza e S.Pellegrino nelle bevande
Passando alla classifica Soft Drinks, gli Usa pesano addirittura l'80% del valore. Al primo posto c’è l’immancabile Coca-Cola, con un valore al 1° gennaio 2021 pari a 33,1 miliardi di dollari.
Al secondo posto del beverage troviamo la rivale Pepsi con 18,4 miliardi (-2,9%). Red Bull al terzo con 8,1 miliardi di dollari di valore generato.
L'Italia, grazie alla presenza di Lavazza e di SanPellegrino (controllata da Nestlé, ndr), arriva a pesare il 2% del valore di questa classifica. Il marchio Lavazza nonostante la perdita del 4,9% di valore, con un valore pari a 1,48 miliardi di dollari e un Brand Rating AA molto forte, sale dalla 15° alla 14° posizione tra i soft drink. Le bibite Sanpellegrino, grazie a un incremento del 5,4%, entrano quest'anno in classifica al 22° posto, con un rating AA-.
Un patrimonio da valorizzare
«Dal report 2021 – fa notare Pizzo – risulta evidente la scarsa rilevanza dei brand alimentari italiani a livello globale. La presenza dei soli Ferrero, Barilla, Veronesi, Lavazza e Sanpellegrino ci consola ma non soddisfa».
Eppure, da una precedente ricerca condotta sempre da Brand Finance su un campione di 75mila abitanti in 102 Paesi, era emerso che il cibo italiano era risultato il più amato al mondo.
Se aggiungiamo a questo che in ambito food l'Italian sounding pesa 100 miliardi, cioè circa il doppio delle esportazioni alimentari italiane, risultano sufficientemente evidenti le grandi potenzialità dei brand italiani nel mondo. D'altra parte si stima che solo il 10% dell'Italian sounding sia composto da prodotti falsi (fonte: Ice-Federalimentare), il resto sono prodotti ben identificabili come non italiani.
«Spesso accade che il consumatore estero sia ben cosciente di acquistare un prodotto non originale, come per esempio il Parmesan americano, ma lo acquista perché non percepisce la differenza e quindi il valore. Questa situazione di mercato indica che ci sono ampi margini di miglioramento delle esportazioni italiane, ma è necessario fare in modo che i consumatori siano attratti dai prodotti realmente italiani riconoscendone l’unicità».
Tolti i pochi pesi massimi dell'industria alimentare tricolore, quindi, gli altri brand italiani fanno molta fatica ad affermarsi a livello internazionale. Per crescere, la maggior parte dei nostri marchi con ambizioni internazionali dovrebbero investire meglio nel rafforzamento e riconoscibilità delle proprie marche.
«Se da un lato il top management ha ben chiara l'importanza dell'immagine e della reputazione, la frequente mancanza di dati sui ritorni degli investimenti di marketing frena la crescita anche delle imprese che potrebbe crescere molto di più grazie all'immagine, oltre che alla “sola” qualità del prodotto», conclude Pizzo.
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