l’editoria del futuro

Breve storia darvinista delle arti

Le formule legate ai gusti dominanti, i pregiudizi editoriali e la moda (sorella leopardiana della morte) non possono prevedere che cosa leggeremo domani, perché lo sviluppo della creatività dipende molto dalle capacità individuali di innovazione, inattese e a volte non riconosciute. Quindi, no: quale sarà la letteratura del futuro non lo sappiamo

di Carlo Carabba

“Letzte Vorstellung” (“L'ultimo spettacolo”), dipinto del pittore tedesco Gabriel von Max (1840-1915)

3' di lettura

In un video che gira online Stan Lee racconta che, quando gli venne in mente di creare l'Uomo Ragno, andò a esporre l'idea al responsabile editoriale della Marvel. La risposta che ricevette fu: «Stan, è il peggiore spunto che ho mai sentito per almeno tre motivi. Uno: I supereroi non possono essere adolescenti. Le spalle sono adolescenti, i supereroi sono adulti. Due: Questa cosa dei supereroi con i superproblemi non ha senso, i problemi ce li ha la gente normale, loro sono super, immuni dai problemi. Tre: La gente odia i ragni, nessuno comprerà mai un fumetto su un Uomo Ragno». Per fortuna c'era Amazing Fantasy, una rivista che andava malissimo e che, nel disinteresse generale, stava per chiudere. Stan Lee riuscì a imboscarci dentro la prima storia di Spider Man. Il resto, come si suol dire, è storia. Il video è bellissimo, in parte per l'indubbio carisma di Stan Lee, in parte perché poche cose sono in grado di riempire il cuore di soddisfazione quanto le storie di progetti brillanti che dopo immotivate avversità iniziali, dovute per lo più alla dabbenaggine umana, ottengono il meritato successo (forse perché tutti noi pensiamo di avere un'idea geniale ingiustamente misconosciuta, o un talento di cui nessuno si è sufficientemente accorto).

Evoluzione / 1

“Scimmia pittrice”, dipinto di un seguace del pittore olandese Ferdinand van Kessel (XVII secolo)

Evoluzione / 2

“Singerie con pipa”, dipinto del pittore fiammingo David Teniers il Giovane (1610-1690)

Ad ogni modo, di storie di rifiuti celebri (da Se questo è un uomo alla Recherche proustiana, dai Beatles a Franco Baresi) è piena la storia delle arti. La maggior parte di questi rifiuti, però, ha qualcosa che li accomuna. Chi li ha pronunciati ha giudicato idee destinate a cambiare il mondo sulla base di quello che aveva funzionato prima della loro comparsa, compiendo uno dei più imperdonabili errori del ragionamento induttivo: «Fino a oggi non ha funzionato (o, ancora peggio, oggi non funziona), quindi non potrà mai funzionare». Se la teoria classica dell'evoluzione delle specie umane diceva che il Sapiens Sapiens era diventato la specie Homo dominante in virtù di una maggiore aggressività, una nuova teoria sostiene che le caratteristiche decisive furono invece l'intraprendenza, l'imprudenza, la curiosità. Pare infatti che i Neanderthal fossero estremamente stanziali, poco inclini a staccarsi dal gruppo, e che invece i Sapiens Sapiens fossero pronti ad abbandonare famiglia e tribù per esplorare boschi e deserti.

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La caratteristica chiave del successo della nostra specie sarebbe dunque la capacità, affatto stupefacente a pensarci, di disinteressarci dell'utile, di ignorare la nostra sicurezza, per tendere verso il nuovo, verso l'oltre, come l'Ulisse dantesco. È così che sono state elaborate teorie scientifiche la cui applicazione pratica si sarebbe scoperta secoli più tardi, è così che una serie di intuizioni metafisiche, come quelle di Giordano Bruno e del platonismo, hanno aperto la strada all'astrofisica moderna ed è così che è andata avanti la storia delle arti. Perché la storia, come l'evoluzione, è un processo stocastico, misto di razionalità e caso. Per questo il passato si può spiegare ma il futuro non si può prevedere. Perché, accanto a una componente razionale (e quindi in buona parte prevedibile), esiste una componente legata al non ipotizzabile, che, nel caso delle arti, è la capacità individuale, inattesa e a volte incompresa, di innovazione (quella che il romanticismo amava chiamare ispirazione). Il futuro, quindi, in letteratura, si crea soltanto innovando e non affidandosi a formule legate a gusti dominanti, pregiudizi editoriali e moda (sorella leopardiana della morte).

L'irruzione del nuovo crea quindi corsi e ricorsi, fa sì che i generi nascano, muoiano e tornino sotto forme inaspettate (come la poesia di colpo in testa alle classifiche di vendita di tutto il mondo grazie a giovani poeti cresciuti su Instagram, come Rupi Kaur o Atticus). L'immaginazione e la tendenza a sperimentare sono caratteristiche fondative e feconde dell'umanità, tanto quanto la capacità logico-argomentativa o quella matematica. Per questo, fino a che ci sarà il genere umano, ci saranno sempre nuovi generi letterari, o verranno sempre rinnovati i vecchi. Almeno fino a quando ci sarà chi continuerà a cercare nuove strade. Perché, come scrive Robert Frost: «Two roads diverged in a wood, and I— / I took the one less traveled by, / And that has made all the difference».

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