Brevetti, Italia al top per registrazioni Allarme sui diritti bloccati in Russia
In dieci anni (2005-2015) il tasso di rilascio dei brevetti sul totale delle domande presentate all’Ufficio brevetti europeo è cresciuto, per il made in Italy, del 20%. Intanto Mosca sospende i diritti di proprietà industriale delle aziende dei «Paesi ostili»
di Laura Cavestri
I punti chiave
4' di lettura
Un conto è presentare la domanda: per un nuovo macchinario, un dispositivo che aumenta le prestazioni o il risparmio energetico, un farmaco innovativo. Un altro è chiedersi, ma quante, delle richieste di brevetto che ogni anno arrivano sui tavoli degli ingegneri dell Epo – l’Ufficio europeo per i brevetti – passano le “forche caudine” dei test, delle verifiche e meritano – al termine di un esame che dura anni – la “patente” di brevetto in Europa?
Il confronto con i partners
Secondo i dati di Epo, l’Ufficio brevetti europeo, tra il 2005 e il 2015, il “grant rate” cioè il tasso di rilascio dei brevetti sul totale delle domande presentate è cresciuto, per il made in Italy, del 20% (da 56 nel 2005 a 76% nel 2015). Seguito da Francia (da 63 a 73%) e Germania (da 65 a 73 per cento). Un po’ più staccati, Gran Bretagna (da 50 a 60%) e Paesi Bassi (da 56 a 67 per cento).
Proprio perché l’iter di riconoscimento di un brevetto dura, in media, almeno 4 anni «l’analisi comparativa sul periodo 2016-2021 – ha spiegato Domenico Golzio, director di Epo – potrebbe non essere affidabile. Meglio prendere il periodo 2005-2015 per il quale si ha la certezza che l’iter sia concluso». Golzio attribuisce il successo della crescita italiana anche al fatto che «dal 2008, Uibm (l’Ufficio brevetti italiano) ed Epo hanno siglato un accordo per cui, sulle domande italiane, European patent office esegue una ricerca di anteriorità e fornisce un esame preliminare sulla novità e l’attività inventiva. Assieme alle attività di educazione e promozione dirette alle Pmi con le associazioni di categoria e territoriali è innegabile che questo accordo ha fatto sì che il “grant rate” delle domande italiane sia cresciuto di 20 punti». Del resto, come ha recentemente sintetizzato Giovanni Casucci, partner all’IP department di EY Studio legale tributario «le imprese hanno maturato la consapevolezza che il brevetto non è solo “innovazione” ma un indice di gestione finanziaria, una vera e propria ricchezza».
Tuttavia, osserva, critico, Vittorio Cerulli Irelli , partner dello studio Trevisan & Cuonzo: «Resta ancora troppo bassa la propensione alla brevettazione dell’impresa italiana. I sistemi economici nostri concorrenti brevettano molto di più, in assoluto ed in proporzione alla popolazione. A fronte di 4.919 domande italiane di brevetto presentate all’Epo, queste sono appena 85 per milione di abitanti, la Germania ne registra 309 e la Francia 161. Noi siamo sui livelli del Regno Unito, che però ha più un’economia di servizi che manifatturiera».
Intanto il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge che introduce alcuni emendamenti al Codice della proprietà industriale. Tra cui l’articolo 3 che prevede un ribaltamento dell’approccio previsto all’articolo 65, ossia il superamento del meccanismo del “professor's privilege”. Significa che la titolarità delle invenzioni realizzate in ambito di ricerca pubblica non sarebbe più del singolo professore o ricercatore, bensì dell’ateneo o dell’ente di ricerca, allineando l’Italia agli altri Paesi europei. «Formuleremo i nostri emendamenti – ha aggiunto Anna Maria Bardone, presidente dell’Ordine dei consulenti di proprietà industriale –. Apprezziamo che il governo voglia semplificare e digitalizzare il sistema amministrativo di protezione della Proprietà Industriale per renderlo sempre più accessibile, efficiente e competitivo».
Rischio fake dalla Russia
Licenza di contraffazione senza conseguenze legali. A lanciare l’allarme è sempre l’Ufficio europeo dei brevetti, che per ora non ha varato contromisure verso le aziende russe che si rivolgono ai suoi uffici per registrare un’invenzione.
La Russia ha, infatti, emanato un decreto che permette al governo di autorizzare lo sfruttamento dei diritti della proprietà intellettuale frutto di brevetti, anche senza il consenso dei titolari. Praticamente, da marzo, possono essere rilasciate nel paese licenze di sfruttamento senza che vi sia l’obbligo di pagare alcun indennizzo.
«Del resto – ha spiegato Cesare Galli, titolare dello studio IP Law e docente di Proprietà Industriale all’Università di Parma – la Russia una prima sentenza l’ha appena emessa, negando la tutela, sul suo territorio, dei marchi e dei diritti d’autore alla società inglese che ha creato la maialina “Peppa Pig” (e il relativo merchandising), senz’altra giustificazione se non che la titolarità dei diritti era in capo ad una società britannica, quindi ad un Paese “ostile”. È bastato questo, al giudice, per dar torto alla società inglese qualificandone l’azione come “abuso di diritto”, sulla base dell’articolo 10 del Codice civile russo. Così , diventa impossibile per le imprese straniere tutelarsi in Russia». Ma non è solo questo. «Le sanzioni economiche – spiega ancora Galli – sono un atto sempre reversibile. Negare il riconoscimento di diritti su licenze, brevetti, marchi significa porsi al di fuori delle regole del Wto. E anche autorizzare un business della contraffazione che, anche a voler tornare indietro, sul lungo periodo, sarà sempre più difficile estirpare, perché sul falso si saranno costruite aziende, conti economici, posti di lavoro»
Se poi consideriamo che «Paesi ostili» non sono la Cina o l’India che commerciano liberamente con Mosca, il rischio che eventuali prodotti russi falsi arrivino in Europa, sospinti dalle triangolazioni via nave con il sudest asiatico si profila più che concreto.
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