MEPHISTO WALTZ

Breviarium

2' di lettura

Puntuale, ogni domenica, di primo mattino, la lettura di Mephisto  – deve ammetterlo a denti stretti - inizia con la liturgia: il Breviario di Gianfranco Ravasi. Nell’ultimo, con bel colpo di pennello, figurava a tema la “pazienza”. Satanello se ne è subito incuriosito perché, per mestiere, ne deve usare tanta e tanta, per catturare i potenziali pazienti. C’è chi dice che la pazienza sia la chiave del Paradiso; secondo Buddha è la migliore  preghiera; e mentre Shakespeare ricorda che le ferite guariscono con gradualità, per Gandhi perderla vuol dire perdere una battaglia. Anche il regno animale vanta campioni di pazienza: ad esempio i poveri muli, che durante la prima guerra mondiale dovevano tirar su, a bastonate, per le  mulattiere impervie del Carso affusti di cannone e bocche di fuoco. Così gli asinelli sardi, ora in estinzione, prima dell’arrivo dell’Ape e dei motorini affrontavano fatiche da Ercole. E il Pio bove «co’ lento giro de’ pazienti occhi» risponde «al pungolo de l’uom» (Carducci 1872). E che dire del leone della Metro Goldwyn Mayer che, paziente com’è, non ha mai smesso di ruggire? Negli anni ne sono succeduti sei, ma il più famoso resta il primo, Slats (1919-1936) il Leo the Lion (1928) che ruggiva al segnale del ciak, per introdurre «Via col vento» e «Il Mago di Oz» (1939). E il «Ben-Hur» (1959) dagli 11 Oscar. E poi «007» (1962) e il Kubrick di «2001: Odissea nello spazio» (1968). Nel ’90 chi se ne ricorda più di Fiorini e Parretti con relativa scalata e ovvio fallimento con arrivo salvifico di Sony?

Ma l’esempio insuperabile di pazienza si trova in marina, in un oggetto inanimato. Qui, dove ogni aggeggio prende il nome dalla funzione che esercita, si definisce “Pazienza” un massiccio trave ligneo, con un incasso su cui si appoggiava il grande boma dei velieri antichi, man mano che scendeva la vela (pesante tonnellate, rispetto alla leggerezza del titanio e del kevlar d’oggi). Costretto a reggere pazientemente l’enorme fardello ogniqualvolta il naviglio si fermava. Una fatica ripetuta in aeternum, come quella di Sisifo. «Res severa verum gaudium». Lo si legge anche sul frontone del Gewandhaus a Lipsia. Qui meravigliosa esplodeva la Quinta (1937) di Shostakovic (1906-1975) diretta l’altra sera da Daniele Gatti, con orchestra da fare invidia esaltata dal gesto del Maestro, e trionfale standing ovation finale.

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«Ars gratia artis» (come si legge nella pellicola rotonda da cui rugge il paziente felis leo M.G.M.).

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