ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLE GARANZIE DELLA TRANSIZIONE

Brexit, per cittadini e imprese Ue almeno 14 mesi di tregua

Se l’accordo con la Ue verrà approvato dal Parlamento britannico ci sarà tempo fino al 31 dicembre 2020 per prepararsi al dopo Brexit. Un periodo utile soprattutto al mondo del business

di Nicol Degli Innocenti

Brexit, cosa aspettarsi dal voto di oggi a Londra

3' di lettura

LONDRA - Sicuramente in queste ore Theresa May si sente un po' vendicata. L’ex premier britannica aveva dato le dimissioni dopo che l’accordo da lei raggiunto con la Ue era stato bocciato per tre volte dal Parlamento, ma l’intesa approvata giovedì 17 da Londra e Bruxelles ricalca da vicino il testo May. La differenza fondamentale è la proposta di mantenere l’Irlanda del Nord allineata al mercato unico europeo e dare a Stormont il diritto di approvare l’intesa.

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Viene inoltre eliminato il contestato backstop, la polizza di assicurazione mirata a evitare un ritorno dei controlli al confine interno irlandese. Per il resto l’accordo Johnson è pressoché identico all’accordo May.

Se sarà approvato da Westminster e dal Parlamento europeo, il 31 ottobre la Gran Bretagna lascerà quindi la Ue ma inizierà un periodo di transizione che durerà fino al 31 dicembre 2020, durante il quale resterà allineata alle regole Ue per facilitare il distacco e dare tempo soprattutto alle imprese di prepararsi al dopo-Brexit. Il periodo di transizione potrebbe anche essere allungato con l’accordo di entrambe le parti. A Bruxelles il premier irlandese Leo Varadkar ha citato una possibile estensione fino al 31 dicembre 2022, nel caso.

I diritti degli oltre tre milioni di cittadini europei residenti in Gran Bretagna da tempo saranno tutelati, cosi come i diritti del milione di cittadini britannici residenti nei Paesi Ue.

I cittadini europei che vivono o lavorano in Gran Bretagna hanno tempo fino al 31 dicembre 2020 per fare gratuitamente domanda di “settled status” o diritto di residenza permanente, mantenendo così il diritto ai sussidi, all’accesso ai servizi pubblici compreso il servizio sanitario nazionale e il riconoscimento dei loro titoli di studio e qualifiche professionali. Secondo gli ultimi dati di fine settembre, 1,5 milioni di europei hanno già ottenuto il settled status e tra questi 125mila italiani.

L’Italia è il terzo Paese per numero di permessi di residenza garantiti, dietro la Polonia e la Romania. Gli europei che invece risiedono in Gran Bretagna da meno di cinque anni possono fare domanda di “pre-settled status” e quando arrivano ai cinque anni di permanenza fare il salto verso la residenza permanente.

Diversa invece la situazione per gli europei che vorranno andare a vivere in Gran Bretagna dopo il periodo di transizione. Dovranno fare domanda di residenza temporanea europea (European Temporary Leave to Remain) che dura per un massimo tre anni. Superato quel limite, gli europei verranno equiparati agli altri cittadini del mondo e soggetti a un nuovo sistema di immigrazione a punti che concede visti e permessi di lavoro a seconda delle qualifiche e competenze della persona e se sono necessarie all’economia britannica.

Il premier Johnson ha confermato nel suo programma di Governo, annunciato dalla Regina lunedì scorso alla cerimonia di riapertura del Parlamento, che intende tutelare i diritti dei cittadini per legge. Il ministero dell’Interno ha avvertito che chi non fa domanda di settled status entro la data prevista potrà essere deportato a partire dal gennaio 2021. L’avvertimento probabilmente è mirato a esortare gli europei a mettersi in regola il prima possibile.

L’accordo rivisto e corretto siglato da Londra e Bruxelles prevede inoltre che la Gran Bretagna paghi alla Ue il cosiddetto “conto del divorzio”. La cifra concordata dalla May era di 39 miliardi di sterline, ma dato che a causa del rinvio di Brexit la Gran Bretagna è rimasta membro della Ue più a lungo del previsto, pagando il dovuto, la cifra finale sarà inferiore, intorno ai 33 miliardi. Si tratta di una marcia indietro forzata per Johnson, che in passato aveva dichiarato di non voler dare neanche un penny a Bruxelles.

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