Brexit, cresce il partito a favore del secondo referendum
di Nicol Degli Innocenti
2' di lettura
Brexit è a un punto morto, ma il Governo britannico è spaccato sulle possibili soluzioni per uscire dall’impasse. Ci sono tre fazioni nell’Esecutivo: alcuni seguono ancora la linea di Theresa May e insistono che è possibile ottenere concessioni da Bruxelles sul testo dell’accordo e riuscire a farlo approvare dal Parlamento in gennaio. Una seconda fazione, che comprende il ministro degli Esteri Jeremy Hunt e la leader dei Comuni Andrea Leadsom, spinge invece per un “no deal”, un’uscita dall’Unione Europea senza un accordo, e invita la premier ad accelerare i preparativi per minimizzare le conseguenze negative, almeno sul breve termine. Un terzo gruppo, infine, che comprende il cancelliere Philip Hammond, il vicepremier David Lidlington e la responsabile del Lavoro Amber Rudd, ritiene che un secondo referendum sia la soluzione migliore per evitare un “no deal”.
La Rudd stamani ha lanciato un appello alla collaborazione tra Tory e Laburisti per sbloccare la situazione, ammettendo che è improbabile che l’accordo della May sia approvato e che un secondo referendum potrebbe essere necessario.
«Dobbiamo tentare qualcosa di nuovo. Serve - ha detto - un approccio pratico e razionale per arrivare a un consenso tra deputati» perché l’importante è «non ascoltare le sirene che ci spingono verso gli scogli di un no deal».
La posizione della Rudd è significativa perché è una strettissima collaboratrice della May. La premier finora ha escluso categoricamente un secondo referendum, ma il fatto che una sua fedelissima ora lo contempli potrebbe essere un segnale di un ammorbidimento nella posizione ufficiale del Governo.
Un secondo referendum sarebbe «l’opzione meno negativa per la May», secondo Stephen Fisher, professore all’Università di Oxford, secondo cui la scelta sulla scheda dovrebbe essere tra l’accordo proposto dalla premier e restare nella Ue, senza l’opzione “no deal”.
Dato che il Governo e il partito conservatore sono profondamente divisi su Brexit, la parola potrebbe passare al Parlamento. Dietro le quinte sono già state avviate trattative tra deputati di diversi schieramenti, uniti dalla determinazione di evitare un “no deal” che sarebbe devastante per l’economia. L’idea della Rudd, sostenuta anche dall’ex premier laburista Tony Blair, è quella di far votare al Parlamento le varie opzioni sul tavolo: l’accordo raggiunto dalla May, l’idea di entrare a far parte dello Spazio economico europeo come la Norvegia, no deal e secondo referendum.
Se non c’è una maggioranza per nessuna di queste soluzioni, se cioè i deputati si confermano divisi tanto quanto il Governo e incapaci di indicare una direzione certa su Brexit, allora rivolgersi direttamente al’elettorato con un secondo referendum sarebbe l’unica opzione possibile.
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