londra nel caos

Il Parlamento britannico rinvia Brexit. Johnson costretto a chiedere la proroga all’Ue

L’atteso giorno della Brexit è stato rinviato. Il Parlamento britannico ha votato a favore (322-306) di un emendamento che rischia di far deragliare il piano di Johnson per uscire dalla Ue. Il premier è però costretto a inviare una lettera alla Ue per chiedere la proroga dei tempi di Brexit

di Simone Filippetti

Brexit, il D-day a Westminster. La diretta

4' di lettura

La Brexit potrebbe non succedere nemmeno il fatidico 31 Ottobre, la Notte di Halloween che era destinata a segnare la storia della Gran Bretagna. Da tragedia (economica e politica) a farsa, il passo è breve. L’Inghilterra ha chiesto formalmente alla Ue un rinvio, decisione obbligata dopo l’ennesimo ribaltone in Parlamento che ha sconfessato il premier Boris Johnson.

Ma il paese è sull’orlo di una crisi di schizofrenia: con una mano chiede un rinvio della Brexit, con l’altra lo rifiuta. Johnson è ormai un rebus avvolto da un enigma. Ha fondato il suo Governo sull’uscita a tutti i costi del paese dalla Ue il 31 Ottobre. Riesce, con un gol in zona Cesarini per usare una metafora calcistica, a siglare un accordo con la Ue. Porta l’accordo in Parlamento, dove viene sonoramente bocciato nel giorno del Super-Saturday, pomposa espressione che avrebbe dovuto segnare una storica vittoria per lui e invece si rivela il contrario.

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Costretto dalla legge a dover chiedere un’estensione della Brexit, lo fa all’ultimo momento, ma non firma la lettera indirizzata a Donald Tusk. E, ennesimo colpo di scena di una giornata beffarda, firma invece una seconda lettera, sempre alla Ue, in cui sconfessa la prima.

«La richiesta di estensione è appena arrivata. Comincerò adesso
a consultare i leader Ue su come reagire». Nella tarda serata si sabato 19 ottobre, allo scadere dei termini previsti dal Benn Act del Parlamento inglese, il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha annunciato di aver ricevuto la lettera del premier britannico Boris Johnson.

BoJo si è infatti arreso soltanto all’ultimo, lasciando intendere d'essere costretto a farlo dalla legge varata dai suoi oppositori e di non ritenerla necessaria. L’atteso voto sull’accordo che Boris Johnson aveva strappato in extremis a Bruxelles non c’è stato e dunque in base alla Legge Anti-Brexit varata da Westminster, Johnson è stato costretto a sconfessare sè stesso.

Per la verità i testi inviati a Tusk da Londra sono tre, come precisa Downing Street. Una lettera non firmata del premier, molto sintetica, in cui viene chiesta la proroga. Una dell'ambasciatore britannico all'Ue, Tim
Barrow
, in cui si precisa che la richiesta è legata a un obbligo di legge a causa dell'approvazione del Benn Act nel Parlamento di Westminster. E una terza firmata da Johnson nella quale il primo ministro argomenta sulla non necessità del rinvio della Brexit oltre il 31 ottobre, sottolineando come il suo governo non lo ritenga una soluzione in linea né con gli interessi di Londra, né con quelli di Bruxelles e dei 27, né con quelli della democrazia e dell'obbligo di rispettare la volontà popolare espressa nel risultato del referendum del 2016.

La soluzione trovata rischia di esporre comunque Johnson al rischio di ricorsi in tribunale da parte delle opposizioni e di attivisti pro Remain, poiché il Benn Act prevede che la proroga venga chiesta in buona fede e senza tentativi di boicottarne gli scopi o di spingere l'Ue a rigettare l'istanza.

Insomma siamo all’ennesimo rompicapo causato dal fatto che il premier ha perso l’ennesima battaglia in Parlamento. Stavolta l’ostacolo si è chiamato Mozione Letwin: l’aula, seppur con poco scarto (322 contro 306) ha votato a favore di un emendamento in grado di far saltare un’uscita dalla Ue il 31 ottobre.

Il testo, presentato dal deputato conservatore Letwin, chiede una proroga della Brexit che consenta nel frattempo di approvare tutta la legislazione necessaria a recepire l’accordo con l’Unione Europea. Il “franco tiratore” non si oppone quindi all’intesa sottoscritta dal premier a Bruxelles, ma lo costringe a rinviare i tempi di uscita. Che però equivarrebbe a una sconfessione totale di Johnson che ha giocato tutto il suo Governo sulla scommessa “Do or Die” Brexit: o Brexit o Morte.

Il premier ha dovuto dunque incassare un’altra sconfitta: ogni volta che si è presentato a Westminster, ne è finora sempre uscito con le ossa rotte. Il Governo non ha una maggioranza, dopo che pure il partito nord irlandese del DUP, i cui voti sono essenziali all’ala conservatrice, aveva annunciato il suo “no” all’accordo raggiunto da Johnson a Bruxelles. Di qui la scelta obbligata, in base al Benn Act , la legge Anti-Brexit approvata nella breve riapertura del Parlamento che il premier aveva sospeso, di chiedere suo malgrado alla Ue un rinvio in extremis di altri 3 mesi.

Il premier però cede ma non si arrende: si ripresenterà in Parlamento la prossima settimana presentando una legislazione completa. Paradossalmente proprio il Benn Act, di fatto una barricata messa in piedi contro la hard Brexit del governo Johnson, rischia di realizzare lo scenario che invece vorrebbe scongiurare: l’obbligo di richiedere un a proroga (l’ennesima dopo 3 anni) mette la Ue in una posizione scomoda. Non è automatico, infatti, che Bruxelles conceda l’estensione della Brexit. Anzi, nei giorni scorsi ha lasciato intendere che non avrebbe alcuna intenzione a farlo. Se la Ue rifiutasse il rinvio, allora la notte del 31 Ottobre scatterebbe automaticamente il No Deal, un’uscita dalla Ue senza accordo. Ma, ora, dopo le lettere alla Ue, la strategia di Johnson pare quella di ottenere una riunione del consiglio Ue verso la fine del mese, e nel frattempo ottenere il Sì del Parlamento all’accordo. A quel punto, la Brexit sarà fatta: non sarà necessario che la Ue conceda un rinvio. Oppure quella di BoJo è tutto un grande inganno: spera nel rifiuto della Ue al rinvio per far scattare in modo obbligato la Hard Brexit, cosa che è sempre stato il suo obiettivo. Ma sarebbe un piano di un machiavellismo diabolico.

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