Brexit, gli ultimi tre ostacoli per Johnson dopo l’accordo con la Ue
Prima di poter dichiarare vittoria e proclamare che Brexit è stata attuata, il premier britannico deve superare tre ostacoli. Uno nell’immediato, uno sabato e uno nel prossimo futuro. Ecco quali
di Nicol Degli Innocenti
3' di lettura
LONDRA - Boris Johnson è uscito dalla porta sul retro di Downing Street per andare al summit europeo a Bruxelles. Pochi secondi dopo il messaggio positivo su Twitter, confermato poi dalla Ue, che un accordo era stato raggiunto, «un grande nuovo accordo che ci restituisce il controllo». La sterlina ha toccato i massimi da cinque mesi.
Prima di poter dichiarare vittoria e proclamare che Brexit è stata attuata, il premier britannico deve superare tre ostacoli. Uno nell’immediato, uno sabato e uno nel prossimo futuro.
L'ostacolo immediato è il consenso del Dup, il partito protestante nordirlandese che da tre anni ha fatto da barriera a qualsiasi intesa proposta da Londra e da Bruxelles per risolvere Brexit. Pochi minuti dopo il tweet positivo di Johnson, il Dup ha fatto sapere che nulla era cambiato per loro e che tuttora non sono disposti ad accettare l'accordo. Per il partito unionista è inaccettabile che l’Irlanda del Nord sia trattata in modo diverso dal resto del Regno Unito e quindi non tollerano l’idea che il confine esterno della Ue, anche se temporaneamente, sia nel mare d'Irlanda che separa l’isola britannica dall'Irlanda.
Johnson negli ultimi giorni ha passato più ore a discutere con il Dup che con qualsiasi altro interlocutore nel tentativo di convincerli a sostenere il compromesso da lui raggiunto. Il fatto che Arlene Foster, la combattiva e irriducibile leader del partito, fosse rimasta a Londra è stato visto come un segnale positivo di disponibilità al dialogo. Secondo alcuni, il Dup alla fine voterà a favore dell'accordo ma per ora resta intransigente per salvare la faccia e mantenere l'immagine di “duri e puri”. I deputati del Dup a Westminster sono solo dieci, e potrebbero teoricamente essere sostituiti da una manciata di ribelli laburisti. Il problema per Johnson è che diversi deputati conservatori pro-Brexit sono disposti a dare luce verde all'accordo solo se il Dup è favorevole.
L'approvazione da parte del Parlamento di Westminster è il secondo ostacolo che Johnson dovrà affrontare sabato, quando la House of Commons si riunirà durante il fine settimana per la prima volta dai tempi dell'invasione delle Falkland/Malvinas da parte dell’Argentina nel lontano 1982.
Al premier servono i voti di 320 deputati e, dato che il suo Governo non ha la maggioranza, deve poter contare sui voti di parlamentari indipendenti e di altri partiti. Sembra certo che i 21 veterani conservatori che Johnson aveva espulso perchè si erano schierati contro un'uscita dalla Ue senza accordo siano disposti a votare a favore, così come gran parte dei conservatori. Resta il dubbio su cosa faranno i dieci deputati del Dup e la ventina di ribelli laburisti che si sono detti pronti ad approvare un'intesa “ragionevole” in cambio di garanzie sui diritti dei lavoratori e la tutela dell'ambiente.
Il leader laburista Jeremy Corbyn ha invitato i suoi a votare contro l'accordo e anche i liberaldemocratici, i Verdi e gli indipendentisti scozzesi dell'Snp si schiereranno contro qualsiasi proposta di Johnson. Il voto di sabato sarà quindi sul filo di lana. Se Dup e oltranzisti pro-Brexit conservatori daranno luce verde, allora il premier potrà mantenere la sua promessa di portare la Gran Bretagna fuori dalla Ue il 31 ottobre. Se invece punteranno i piedi, Johnson subirà una umiliante sconfitta in Parlamento, come era successo a Theresa May per ben tre volte.
Anche se Johnson dovesse uscire trionfante, prima o poi dovrà affrontare l’ostacolo scozzese. La Scozia aveva votato a favore di restare nella Ue e il Governo autonomo di Edimburgo intende mantenere rapporti stretti con l'Europa e non condivide affatto il sogno inglese di “riprendersi il controllo” tagliando i ponti con Bruxelles.
La premier scozzese Nicola Sturgeon questa settimana ha dichiarato di volere un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia nel 2020 anche senza il consenso di Londra. Le regole prevedono che sia il Governo britannico a consentire un referendum, così come era successo nel 2014 quando gli scozzesi avevano votato a favore di restare parte del Regno Unito.
La Sturgeon però ritiene che Brexit cambi completamente le carte in tavola e che non sia legittimo che Londra trascini la Scozia fuori dalla Ue contro la volontà degli scozzesi. È anche convinta, e i sondaggi la sostengono, che a causa di Brexit questa volta vincerebbe il voto per l’indipendenza.
Johnson è il politico meno popolare in Scozia, sia perchè viene visto come un sostenitore del nazionalismo inglese sia perchè nel suo passato di giornalista aveva spesso deriso gli scozzesi, dichiarando tra l’altro che i deputati scozzesi non avrebbero dovuto avere una voce a Westminster. Il premier prima o poi però dovrà affrontare il problema, offrendo concessioni a Edimburgo o avviando uno scontro che potrebbe finire in tribunale.
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