BTp, rendimenti giù in asta: coperto al 95% il fabbisogno del 2023
Dopo la fiammata di ottobre, collocati decennali al 4,76% e quinquennali al 4,12% ma il debito italiano resta osservato speciale
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Saranno stati molti a tirare un sospiro di sollievo osservando il rendimenti dei BTp e il loro spread nei confronti del Bund tedesco tornare a scendere dopo la fiammata di metà ottobre. Anche martedì l’asta del Tesoro ha registrato una contrazione dei tassi di emissione rispetto al mese precedente per tutti gli 8,5 miliardi di titoli a medio-lungo termine assegnati, ma questo non autorizza ancora ad abbassare la guardia. Il debito italiano resta sorvegliato speciale in una fase in cui la Legge di Bilancio è in approvazione e incombono i giudizi delle agenzie di rating: Fitch venerdì 10 novembre e soprattutto Moody’s, che mantiene il nostro merito di credito appena un gradino sopra la soglia junk che si pronuncerà una settimana dopo.
I numeri
La cronaca impone di ricordare come i 2,5 miliardi di BTp a 5 anni siano stati collocati al 4,12%, cioè 29 centesimi meno dei livelli record di un mese fa mentre i decennali, emessi per 3,5 miliardi, si siano attestati al 4,76% (-17 centesimi). A completare l’asta 1,5 miliardi di BTp scadenza giugno 2027 piazzati al 3,84% e CcTeu ottobre 2028 per 1,25 miliardi al 5,16%, per un’operazione che ha permesso al Mef di raggiungere quota 323 miliardi da inizio anno, circa il 95% del quantitativo lordo previsto a medio-lungo termine per l’intero 2023.
«Nel suo piano di finanziamento, l’Italia aveva dichiarato che avrebbe venduto 60 miliardi di euro di debito a medio e lungo termine nell’ultimo trimestre dell’anno e da allora ha emesso 49 miliardi», ricorda Luca Cazzulani, strategist di UniCredit, aggiungendo che «l’offerta di novembre dovrebbe essere piuttosto contenuta, con la possibilità che l’asta di metà dicembre venga cancellata». Nei prossimi due mesi l’offerta netta dovrebbe essere fortemente negativa per la prevalenza di rimborsi (42 miliardi contro 20-25 miliardi di offerta lorda) e questo lascia pensare a una strada in discesa da qui a fine anno, almeno sotto l’aspetto tecnico, ma non permette di adagiarsi sugli allori.
Sale il costo medio all’emissione
Il conto da pagare per le casse dello Stato è diventato infatti molto più salato rispetto al passato: dopo l’asta del Tesoro di ieri il tasso medio all’emissione per i titoli di Stato italiani da inizio 2023 è salito al 3,74%, oltre due punti percentuali in più rispetto all’1,71% dello scorso anno. Ma ciò che più conta è che si mantiene ormai da tempo oltreil rapporto fra interessi da versare e stock di debito, che viaggiava al 2,84% a fine 2022. «La crescita nominale attesa per il 2024 sarà inferiore rispetto al tasso d’interesse medio applicato al debito pubblico e il divario tra questi due parametri potrebbe crescere ulteriormente negli anni successivi», avverte a questo proposito Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest Am, che non nasconde il suo principale timore: «Un qualsiasi shock che andasse a colpire i tassi dei BTp, facendoli crescere di 100 o più punti base rispetto alle stime attuali, potrebbe rendere insostenibile il debito italiano».
Debito italiano sotto osservazione
Punto chiave della questione sono quelle previsioni sul deficit/Pil che il Governo ha rivisto al rialzo, dal 4,5% al 5,3% per il 2023 e dal 3,7% al 4,3% per il prossimo anno, ben oltre quindi il limite del 3%, e che pongono il nostro Paese all’attenzione dei mercati. «Lo scenario degli ultimi anni è profondamente mutato, l’Italia non potrà più contare sulla combinazione crescita alta/tassi nominali bassi e dovrà compiere un grande sforzo per stabilizzare gradualmente il debito/Pil», nota ancora Signori, pur restando del parere che l’evoluzione più probabile sia quella di un rapporto che rimarrà vicino ai livelli attuali fino al 2030, mantenendosi attorno al 141 per cento.
Per raggiungere l’obiettivo servono tuttavia, secondo l’economista «una convergenza a un tasso di crescita verso lo 0,7%, un proseguimento del processo di assestamento dell’inflazione verso il 2% e una stabilizzazione dei tassi d’interesse dei BTp a 10 anni attorno al 4,5%, cioè la media degli ultimi 3 mesi». In mancanza di quest’ultima condizione, e di un aumento dei rendimenti di 100 punti base che pure è «un’eventualità molto remota», il debito italiano rischia di «subire un effetto slavina, che si innescherà già dal 2024». Anche per questo il Governo dovrà far di tutto per evitare un eventuale peggioramento della situazione «impegnandosi nell’incrementare il saldo commerciale primario e nel trasformare il deficit dichiarato nel 2023 in surplus primario pari al 2% del Pil: un obiettivo - conclude Signori - effettivamente molto ambizioso».
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