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Burrata, vendite +40% manca però manodopera qualificata

Domanda record anche dalla Corea all'Indonesia fino all'Australia

di Manuela Soressi

 Indispensabili i lavoratori specializzati

3' di lettura

Burrata is the new mozzarella. Come nel recente passato il fiordilatte ha sbaragliato gli altri formaggi a pasta filata affermandosi in Italia e nel mondo come un capolavoro del made in Italy, così da qualche anno sta facendo la burrata, artefice di un'escalation vertiginosa. In 24 mesi, nell'anno finito lo scorso maggio, le vendite di quella confezionata a peso fisso sono aumentate del 40% a valore e del 42% a volume in Gdo, oltrepassando i 56 milioni di euro (fonte Nielsen). In altre parole, negli ultimi due anni gli italiani hanno speso 16 milioni di euro in più per mettere questo formaggio nel carrello della spesa. A questi risultati nel retail vanno aggiunte le vendite (importanti) in gastronomie e negozi di specialità e il successo inarrestabile nel fuoricasa, dove la burrata ha conquistato uno spazio trasversale, dalla pizzeria di quartiere al ristorante stellato. La ristorazione fa da traino anche alla diffusione nei mercati esteri dove questa mozzarella con il cuore di panna cresce tanto e piace sempre di più (soprattutto a Parigi e Londra), tanto che comincia a essere prodotta anche in loco, come sta accadendo in Francia, in Spagna e persino a Dubai. Dunque, si stima che nell'arco di un decennio da specialità locale pugliese la burrata sia diventata una superstar internazionale con quasi 1 miliardo di euro di vendite. Un boom che, però, potrebbe rivelarsi un boomerang, perlomeno a livello produttivo.

«Gli stabilimenti in Puglia sono saturi tanto che molti imprenditori stanno investendo per aumentare la capacità produttiva – ha affermato all'assemblea annuale di Assolatte Giovanni D'Ambruoso, titolare di Delizia, il maggior produttore italiano che esporta in oltre 35 Paesi - Ma resta il problema del reperimento della manodopera, che è particolarmente importante per la burrata perché la manualità è fondamentale». Così com'è difficile trovare il latte, a causa della minor disponibilità globale, e ancor di più comprarlo a prezzi accessibili, visto che è raddoppiato in pochi mesi spinto dalla maggior domanda internazionale. Il che, unito ai rincari dei costi energetici e del packaging, sta mettendo a repentaglio la sostenibilità economica dei caseifici. «Da un paio di mesi lavoriamo a marginalità zero e per recuperare solo i rincari di latte e panna dovremmo aumentare i prezzi di 3 euro al kg» ammette Claudia Palazzo, amministratore delegato del Caseificio Palazzo, che realizza con la burrata il 62% del fatturato e la vende in tutto il mondo.

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«Per noi i volumi prodotti e il fatturato delle burrate continuano a crescere a due cifre, come accade da anni, mentre invece la marginalità si è pesantemente ridotta anche perché, per garantirci il latte di qualità, abbiamo deciso di aumentare la remunerazione del centinaio di allevatori che ci conferiscono il loro latte» spiega Simone Mariani, amministratore delegato del Gruppo Sabelli per cui le burrate valgono circa il 15% del fatturato.

La carenza di materia prima è un paradosso per un prodotto che va a gonfie vele e che quasi non riesce a star dietro alla domanda esistente. Senza parlare di quella potenziale, che sta emergendo soprattutto nel Far East, dalla Corea all'Indonesia all'Australia. Un vincolo alla ancor maggiore crescita nel mercato internazionale è l'alta deperibilità della burrata, tant'è che all'estero viene inviata soprattutto in versione frozen. Ma fresca è tutt'altra cosa. Ecco perché il Consorzio di tutela della Burrata di Andria Igp, insieme alle Università di Foggia e di Bari,
ha avviato un progetto-pilota che sfrutta le mild technologies conservative per prolungare in modo significativo la shelf life, consentendo così alle aziende di ampliare i mercati di sbocco, aumentando redditività e competitività.

Un duplice obiettivo che accomuna tutto il “distretto” pugliese della burrata, impegnato da un lato a connotare e difendere quella tradizionale tutelata dalla Igp (che rappresenta il 5% della produzione nazionale) e dall'altro a cavalcare una domanda in forte crescita, soprattutto da parte dell'industria e dei retailer. Sono le aziende specializzate pugliesi a realizzare la maggior parte delle burrate vendute a private label (che rappresentano oltre il 45% del mercato in Gdo) o con i brand dei big del lattiero-caseario come Granarolo e Lactalis/Galbani.

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