C’era una volta lo stereo: la musica digitale è (finalmente) cambiata
Resta un piccolo nucleo di audiofili intransigenti, appassionati di audio hi-end ma la musica è cambiata: e non si tratta di tecnologia digitale
di Mario Cianflone
2' di lettura
C’era una volta lo stereo: amplificatore (meglio se inglese e non giapponese), casse (americane o inglesi) e sorgente. E qui c’era magari un sontuoso cd player (dalla qualità ancora insuperabile) senza voler scomodare l’ormai mitizzato vinile che per farlo suonare bene ci volevano tanti soldi con “piatti” e fonorilevatori costruiti (e collocati) in modo maniacale, mentre adesso un qualsiasi hipster in vena di audio mode analogiche descrive sensazioni acustiche meravigliose utilizzando terrificanti giradischi di plastica.
Ora questo modo puristico e vintage di intendere l’alta fedeltà e ascoltare la musica è finito da tempo. Certo, resta un piccolo nucleo di audiofili intransigenti, appassionati di audio hi-end, quelli che ancora spendono qualche centinaio di euro solo per un cavo, ma per il resto la musica è cambiata: e non si tratta di tecnologia digitale (il cd, nato esattamente 39 anni fa, è stato il primo sistema audio numerico), bensì di versatilità e fruibilità grazie ad altoparlanti wireless (Bluetooth oppure wifi), disponibilità di brani illimitata grazie ali servizi di streaming e comandi vocali come Alexa per chiedere (anche in auto) di riprodurre una canzone o un album (ma anche di spegnere, per esempio, la luce).
E la qualità? Questa resta il nodo chiave. Da una parte l’audio compresso (Mp3) e lo streaming stile Spotify hanno depresso la resa acustica (ci sono però servizi di alta qualità come Tidal) se come riferimento si utilizza un sistema audio classico, magari a valvole, di costo stratosferico. In realtà, tutta l’innovazione di questi anni non ha fatto altro che innalzare e democratizzare la qualità sonora: anche spendendo veramente poco si porta a casa uno speaker wireless dal suono gradevole e potente (e infatti nessuno rimpiange radioregistratori e cassette). Ora come ora con buona pace della correttezza timbrica e della maniacale ricerca della linearità di risposta possiamo goderci bassi profondi (talvolta troppo) e una pressione sonora più che sufficiente. Il tutto con oggetti meravigliosamente piccoli, poco invasivi nell’arredamento e sostanzialmente portatili.
Questo tuttavia ha praticamente messo da parte il concetto di sterefonia e di separazione dei canali per la ricostruzione ambientale: le casse Bluetooth sono spesso monofoniche, ma se si vuole la sterefonia (sempre che il brano sia veramente stereo) ecco che alcuni modelli possono essere abbinati in coppia. Se poi si usa una soundbar di buon livello si può anche ottenere non solo audio sterefonico ma anche una ricostruzione spaziale surround cinematografica ottenuta grazie ai chip Dsp per l’elaborazione del suono: quasi una magia. Il tutto con un solo cavo (eArc) che dal tv va alla soundbar, mentre lo smartphone o il tablet sono connessi senza fili.
E gli storici marchi dei tempi d’oro dell’alta fedeltà dove sono finiti? Alcuni sono scomparsi, altri sono saliti a bordo delle automobili visto che i costruttori fanno a gara per fregiarsi di bei nomi che vanno oltre al classico Bose per andare a recuperare brand gloriosi molti come Infinity, Jbl e Marc Levision (confluiti in Harman Samsung)oppure il leggendario Krell che ora suona nelle Hyundai, mentre Audi sta invertendo la rotta: a bordo delle elettriche c’è Sonos,forse l’unico marchio cool (giovane peraltro) dell’audio wireless e ”smartphonizzato”.
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