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C’era una volta il Vesuvio... ma non credeteci

Un sentiero lungo i canali di lava conduce al cratere dove a otto chilometri di profondità si nasconde un serbatoio di magma pronto a esplodere. Ma ai napoletani non fa paura

di Francesca Barbiero

5' di lettura

La seconda cosa da dire sul Vesuvio – la prima la dico dopo – è che per i napoletani non è più un vulcano. È stato vulcano millenni fa quando ha distrutto Pompei, e poi tra Settecento e Ottocento, ai tempi delle gouache con pennacchio e colata di lava che la borghesia scaramanticamente appende nei sontuosi appartamenti di Posillipo, una declinazione del folklore locale, come la tarantella e gli chalet di Mergellina. Ma adesso per chi vive a Napoli il Vesuvio è una figura bidimensionale, un cono alla destra del Monte Somma, uno sfondo dell’iconografia partenopea, dal romanticismo di Turner alla pop art di Warhol. Un’attrazione per turisti e per artisti, cioè strani, diversi, eccentrici. Di conseguenza il Vesuvio ontologicamente non è, il Vesuvio sta. Sta dietro San Gennaro, dietro il leggendario Pino (non il cantante ma l’albero poi abbattuto che per i napoletani è come un parente defunto, ancora vivo e vegeto), dietro Maradona, dietro il lungomare di via Caracciolo, dietro le comitive di turisti, gli sposi, i risciò, le aspiranti influencer, i divoratori di pizza da Sorbillo e Alfredo & Alfredo, gli scugnizzi che si tuffano dagli scogli, un tempo scheletrici come nei film del neorealismo alla Sciuscià di De Sica e ora sovrappeso e addobbati di catene d’oro come i rapper del Bronx. E davanti al Vesuvio sta questa accozzaglia umana che scatta foto con l’iphone mentre mangia carboidrati in quella che è diventata una gigantesca friggitoria a cielo aperto ed è plasticamente Napoli, adesso.

Quindi, evitate di raccontare ai napoletani della vostra escursione sul Vesuvio, non parlate del serbatoio di magma a otto chilometri di profondità, così vasto che non riuscirà a venire svuotato del tutto nemmeno dalla prossima esplosiva e devastante eruzione. Vi guarderanno come un terrapiattista a un meeting della Nasa, un no vax a un simposio internazionale di virologi. Ma siete voi il no vax, il terrapiattista. Partiranno gli sfottò – che fifoni a farvi terrorizzare da una povera e innocua montagna – in un meccanismo di rimozione collettiva di una verità fattuale incontestabile: il Vesuvio è un vulcano attivo, in quiescenza soltanto dal 1944.

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Da Napoli per arrivare al Vesuvio ci sono diverse opzioni, noleggiare un’auto, prendere un taxi, fare un tour organizzato in bus, ma vorrebbe dire perdersi quell’esperienza di turismo estremo, quell’assaggio antropologico di autentica vita locale che è il viaggio in Circumvesuviana. Solo così potrete intercettare – come degli etologi nella savana – lo sguardo terrorizzato delle due inglesi trentenni in attesa con voi sulla banchina straripante di gente seminuda con un caldo umido come a Saigon. Dal binario sotterraneo della stazione centrale non si sa da quale lato arriverà il treno, né a che ora, è tutto molto confuso quindi si segue la calca. Le due inglesi, vedendomi completamente spaesata in questo girone dantesco di stranieri con il cappello di paglia di Firenze, sneaker e scarponcini da trekking (domanda: ma quando è successo che sono scomparse le Birkenstock dai piedi degli scandinavi e dei tedeschi?), mi chiedono se sono italiana. Rispondo mentendo, vivo all’estero da tempo. Nei vagoni sgarrupati e accalcati entrano ed escono bande musicali di latinos che suonano Torna a Surriento e intrattenitori locali che intonano Despacito con un effetto straniante ma irresistibile. A Pompei Villa dei Misteri il fiume carsico di indiani, americani, tedeschi, inglesi si riversa sulla stazione. E qui va aperta una parentesi. Delle migliaia di turisti, praticamente tutti sono lì per visitare solo gli Scavi e non anche il Vesuvio. Voi siete parte di una élite di veri escursionisti, esploratori, naturalisti, intrepidi viaggiatori dei luoghi più oscuri e pericolosi del pianeta. Infatti, quelli anziani sono tutti sosia di David Attenbourogh e Jane Goodall. Mica la plebe con la guida che gira per gli Scavi, per intenderci.

Ma torniamo per un momento a Pompei Scavi Villa dei Misteri, alle bancarelle di souvenir e di cibi, alle comitive di coreani felpati con l’ombrellino parasole e l’auricolare per seguire la guida senza disturbare, alle famiglie francesi con mucchi di bambini che fanno i bambini, tedeschi con pance gonfie come angurie da bevitori di birra e americani con il cappellino da baseball. Apparentemente sembrano le solite bancarelle piene di cianfrusaglie. Il fatto è che siamo non a Pompei ma nella rappresentazione di Pompei, nello stereotipo di Pompei, e cioè un gigantesco lupanare, un sex shop dell’antichità, dove i romani andavano a svagarsi prima che venisse inventato Youporn. E quindi vai con le statuette di priapi, satiri, ninfee, dipinti di ermafroditi impegnati in ingarbugliati accoppiamenti, grembiuli per cucina con la gigantografia del pene del David di Michelangelo (che non è lì a Pompei ma mi sembra onestamente un dettaglio) e persino bottiglie di limoncello a forma di fallo.

Intanto è arrivato il pullman per il Vesuvio. Persa nel labirinto delle bancarelle, chiedo dove sia la fermata a due francofone settantenni identiche, forse gemelle monozigote forse fidanzate, ovviamente preparatissime – come tutti gli escursionisti peraltro, tranne me – avendo letto guide, blog e siti naturalistici. Sale anche una comitiva di trekking di Porto Torres diretti alla Valle dell’Inferno e l’Occhio del diavolo, con racchette e polo verde fluo, forse per non perdersi. Arrivati al parcheggio a 1.100 metri d’altezza, si verifica un singolare fenomeno atmosferico assolutamente imprevedibile visto che il meteo dava: coperto ma sereno. Sta per piovere, ma di più! grandina. Chicchi di grandine come palline da flipper vengono scagliati con violenza inaudita dal cielo contro i turisti, ma ecco comparire i venditori di poncho di plastica a 10 euro l’uno. Poncho! Poncho! Poncho! Tutti compriamo. Ora io lo so che è un bieco e ritrito cliché di cui mi vergogno, ma il sospetto che fosse una gigantesca truffa con droni israeliani di ultima generazione – rubati e pezzottati dai napoletani – non mi ha ancora abbandonato del tutto.

Appena smesso di piovere si comincia a salire verso il cratere a 1.280 metri d’altezza. Potrei dirvi che il panorama sul sentiero che costeggia i canali di lava è spettacolare, descrivervi la vegetazione, i licheni, le ginestre, la fauna (scarsa), inondarvi di informazioni tecniche sui minerali, le fumarole (poche, pensavo di più) che ovviamente copierei dal sito del parco nazionale del Vesuvio. E invece vi dirò quello che arrivando nel punto più vicino all’orlo del cratere non mi sarei aspettata di trovare. Il 24 settembre del 2008 Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe ha sentito la necessità di deporre un quadro raffigurante la Madonna di Pompei e una targa con una preghiera che a distanza di 15 anni è puntellata da ex voto di fedeli. Perché sarà pure innocuo questo Vesuvio ma se ci butta un occhio la Madonna Di Pompei si sta tutti più sereni.

Quasi dimenticavo la prima cosa che dovevo dire, che è una domanda esistenziale sul senso di un viaggio che vi aprirà alla meraviglia ma anche al terrore di una natura così dominante e invincibile. E allora la butto lì. Quando siete nella Circumvesuviana, non scendete a Pompei Villa dei Misteri, tirate dritto fino a Sorrento. Dalla stazione arrivate a piedi nella piazza principale, Piazza Torquato Tasso. Sulla destra entrate nel celebre Hotel Vittoria, non vi fate intimorire dal concierge e chiedete della Terrazza Caruso, una vecchia terrazza davanti al golfo di Surriento (Lucio Dalla, grazie). C’è il piano bar, un falconiere per spaventare i piccioni e uno staff di camerieri e cameriere che svuoteranno il posacenere a ogni nocciolo d’oliva. Portatevi un libro, Poesie di Emily Dickinson, e leggete Non ho mai visto i vulcani: Se qualche amatore dell’antichità/in un rinnovato mattino/non griderà esultante Pompei! / alle colline ritorna. Ovviamente, ordinate un cocktail.

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