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Sir Vince Cable è uno dei protagonisti della politica britannica. Ex ministro del Business, ora leader del partito liberaldemocratico, Cable è un europeista convinto e, dopo avere votato a favore di restare nell’Unione Europea nel 2016, ora si batte per un secondo referendum. Nonostante la lunga esperienza in politica, resta un ottimista: afferma che il rischio di un’uscita dalla Ue senza accordo è minimo perché «la Gran Bretagna non è il Venezuela o lo Zimbabwe». A poche settimane dalla data prevista di Brexit, gli abbiamo chiesto qualche commento e previsione sulle prospettive della Gran Bretagna.
De Gaulle non voleva che il Regno Unito entrasse nel Mercato Comune perchè riteneva che il Paese non avrebbe mai aderito pienamente al progetto europeo. A oltre cinquant’anni di distanza, ritiene che De Gaulle avesse ragione?
De Gaulle aveva parzialmente ragione. Sicuramente il Regno Unito ha sempre avuto un rapporto distaccato con la Ue e, come sappiamo, il 52% dei cittadini vorrebbe sciogliere ogni legame. Però non possiamo dimenticare il grande contributo che il Regno Unito ha dato alla costruzione del mercato unico e come Londra abbia favorito l’ingresso nella Ue dei nuovi Paesi del Sud e dell’Est Europa.
Brexit ormai incombe. Ritiene inevitabile un rinvio oltre il 29 marzo?
È molto probabile che ci sia un rinvio, anche se non ha molto senso senza un progetto chiaro, diventerebbe fine a se stesso. In molti lo chiedono, ma per ragioni diverse. Noi vogliamo un secondo referendum. Altri vogliono un rinvio tecnico, altri ancora sperano che una soluzione emerga come per magia. Il fatto è che i sostenitori di Brexit hanno un rifiuto viscerale della Ue e non c’è alcuna possibilità di raggiungere un compromesso ragionevole con loro. D’altronde la Ue ha perfettamente ragione a non voler riaprire il negoziato e rivedere l’accordo.
Crescono i timori di un “no deal”. Quanto è grave questo rischio?
Sono convinto che il rischio di un no deal sia minimo. Non si può fare il salto nel buio per sbaglio, ma solo se il Governo fa una scelta precisa di distruggere l’economia britannica. È una cosa che potrebbe succedere in Venezuela o in Zimbabwe. Mi rifiuto di credere che possa succedere in Gran Bretagna. Non solo la maggioranza dei deputati in Parlamento, ma la maggioranza dei membri del Governo è contraria a un no deal e diversi ministri sarebbero pronti a rassegnare le dimissioni.
La possibilità di un secondo referendum sembrava concreta fino a poco fa, ma ora sembra essersi allontanata. Quali sono le possibilità che torni in gioco?
Il secondo referendum è passato in secondo piano adesso e nell’immediato non prevedo sviluppi. Ma è solo questione di tempo: se il no deal sarà escluso, come succederà, e se la proposta di Theresa May sarà di nuovo respinta, come è probabile, allora non ci saranno alternative: il Governo dovrà rivolgersi di nuovo all’elettorato. L’idea del People’s Vote tornerà alla ribalta come extrema ratio.
Le organizzazioni imprenditoriali hanno lanciato numerosi allarmi, imprese come Sony e Panasonic hanno trasferito il loro quartier generale a Amsterdam, Nissan ha bloccato gli investimenti previsti. Perchè il Governo non ha ascoltato la voce del business?
I conservatori hanno dimostrato di non essere più “il partito del business”, come si definivano. La May si è curata solo di gestire le divisioni interne al suo partito e ha dimostrato interesse zero per la politica economica. Il risultato è che ha fatto danni irreversibili: la Gran Bretagna viene ora considerata politicamente instabile e inaffidabile, ha perso la reputazione che aveva e che rappresentava un grande valore. L’idea del Regno Unito come porta d’ingresso all’Europa per gli investitori stranieri è ormai definitivamente tramontata.
Brexit ha rivelato divisioni profonde all’interno dei due partiti principali e i leader Tory e Labour sembrano ostaggi delle ali estremiste dei rispettivi partiti. Al di là di Brexit, è possibile la creazione di un nuovo partito liberale di centro che accolga i moderati sia conservatori che laburisti?
Sono convinto che ci sarà un riallineamento nella politica britannica, perché sono molti i conservatori e i laburisti che vogliono lasciare il loro partito dal quale non si sentono più rappresentati. Sarà difficile però creare un nuovo partito perché il sistema britannico è calibrato per rafforzare il dominio dei due partiti principali. Penso che realisticamente molti deputati diventeranno indipendenti e creeranno un gruppo di moderati in Parlamento che, con il tempo, potrebbe diventare un nuovo movimento politico. Nel frattempo io sono lieto di accogliere tutti i moderati e liberali nel partito liberaldemocratico.
La coalizione del 2010-2015 tra Conservatori e LibDem ha fortemente danneggiato il suo partito, poi crollato alle elezioni del 2015. Con il senno di poi rifarebbe la scelta di allora?
Sì. Il Paese stava affondando dopo la crisi finanziaria, aveva bisogno di un Governo stabile. Abbiamo fatto una scelta responsabile. Avremmo preferito governare con i laburisti, ma non è stato possibile, quindi ci siamo alleati con i Tories. Abbiamo messo il bene del Paese davanti al bene del partito. Esattamente il contrario di quello che sta facendo Theresa May.
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