Cagliari-Oristano, due mondi a 90 km
dal nostro inviato Lello Naso
6' di lettura
Cagliari - I fenicotteri rosa fermi nello stagno di Santa Giusta sembrano guardare i trattori nei campi limitrofi immersi in una nuvola di polvere. Siamo in piena stagione di imballaggio del fieno e incombe la pioggia. “Dobbiamo trovare il tempo perfetto per non dover fare due volte il lavoro”, dice Gianfilippo Contu, presidente di Arborea, cooperativa del settore lattiero-caseareo, 130 milioni di euro di ricavi, la più grande impresa della provincia di Oristano. In verità, l'unica vera impresa negli oltre 10mila ettari di territorio del Campidano bonificato a partire dal 1918. Acquitrini malarici restituiti alla produzione ma su cui, in oltre un secolo, l'attività imprenditoriale non è mai davvero decollata.
Secondo i dati elaborati dalla Svimez per il Sole 24 Ore, Oristano è la provincia del Mezzogiorno con il minore stock di imprese registrate (967) e, seguita solo da Nuoro, l'ultima per start up (2,09 su 10mila imprese) contro una media nazionale di 14,72. Cagliari, invece, con una media di 14,71 neo-imprese su mille, è la seconda del Sud. Oristano, per conculdere la geremiade dei dati da allarme rosso è la provincia del Mezzogiorno con il rapporto più alto di popolazione in età non attiva sulla popolazione attiva (39,6%).
“I dati nudi e crudi sono preoccupanti”, dice il sindaco di Oristano Andrea Lutzu, 56 anni, un ingegnere pragmatico eletto con Forza Italia. “La provincia è vocata all'agricoltura ma se è evidente che non possiamo vivere di sola agricoltura è altrettanto chiaro che non possiamo snaturare il territorio. Dobbiamo investire nella tutela del paesaggio, nella valorizzazione delle risorse culturali e nel tursimo”. Il sindaco elenca le attività messe in campo. L'iscrizione del porto negli scali crocieristici, e l'avvio delle trattative con Costa e Msc per includere Oristano tra gli itinerari; il completamento del porto turistico; la costruzione di un nuovo complesso golfistico per completare il percorso sardo; la valorizzazione della Sartiglia e del Crocifisso di Nicodemo e dei 47 siti di interesse culturale della città. “Ma senza un piano integrato regionale, agricoltura-turismo-industria - dice Lutzu - non può esserci sviluppo per la Sardegna intera. Il problema non lo risolviamo a pezzi. Servono decisioni condivise per individuare le vocazioni di ogni area. E poi infrastrutture, promozione e marketing, la continuità territoriale”.
Ad Oristano, però, nessuno si spinge a mettere in dubbio il binomio fenicotteri-trattori, turismo-agricoltura. Non sapremo mai se, come ipotizza il progetto Eleonora di Saras, nel Campidano ci sono tre miliardi di metri cubi di gas. Il progetto è stato bloccato da Comuni e Regione e il Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso di Saras. “Mi astenni - dice il sindaco di Oristano - perché ho forti perplessità sul progetto. Ma il carotaggio andava fatto per sapere di che cosa stiamo parlando e deliberare con cognizione di causa. Ma la paura di esser bypassati è stata troppo grande. Dopo le basi militari la Sardegna ha un nervo scoperto”.
Chiedere del giacimento di gas del Campidano al presidente di Arborea è come parlare di corda in casa dell'impiccato. “Totalmente incompatibile con il nostro territorio”, dice Contu. “Noi dobbiamo promuovere l'eccellenza dei prodotti, un modello di qualità e compatibilità. L'attività estrattiva è quanto più lontana dal nostro modello di business. Arborea è pronta a partire con il biometano. E' questa la via”. Paradossalmente Arborea mostra le potenzialità e i limiti dell'impresa in Sardegna. Detiene il 90% del mercato del latte e il 30% di quello dello yogurt nell'isola. Per cercare margini di crescita ed evitare di vendere il latte non lavorato che produce in eccedenza ha appena chiuso acquisizioni in Toscana e Trentino. Sviluppo altrove anche se, per tornare ai numeri nudi e crudi, la provincia di Oristano è terz'ultima nel Sud e in Italia per esportazioni, con 53 milioni di euro. “Avremmo bisogno di politiche commerciali mirate, di sviluppare la logistica e i trasporti. Da sardo – dice Contu – quando vedo i furgoncini di imprese del continente che forniscono semilavorati e anche prodotti freschi alla grande distribuzione e, in estate, persino ai villaggi turistici penso che c'è qualcosa su cui dobbiamo lavorare”.
Tra Oristano e Cagliari ci sono 90 chilometri di separazione. La quattro corsie, come la chiamano i sardi, piega verso l'interno ed evita il Sulcis-Iglesiente delle miniere chiuse e ancora da bonificare. A Ovest Portovesme e il progetto del polo della metallurgia infranto dalla crisi, circa quattromila posti di lavoro persi, che faticosamente si cerca di ricostruire con investimenti pubblici e privati. Un miliardo di euro circa disponibili per l'alluminio Alcoa passato agli svizzeri di Sider Alloys, l'allumina di Eurallumina, il piombo e lo zinco di Glencore. Piani che dovrebbero riportare nelle fabbriche e nell'indotto circa tremila lavoratori.
“Basta guardare i dati delll'occupazione – dice il segretario generale regionale della Cgil, Michele Carrus – per capire che non possiamo vivere nell'illusione dell'autosufficienza da agricoltura e turismo. E' bastata una stagione estiva lunga, con il caldo fino a novembre, per portare il tasso di disoccupazione di fine 2017 al 15%, vicino alla media nazionale. A inizio 2018, finiti i contratti stagionali, siamo tornati oltre il 18%. Siamo attaccati a un filo troppo sottile. I nostri sono servizi a domanda debole. Basta un attentato a Parigi per cancellare 500mila presenze in Sardegna e metterci in ginocchio”.
Il ragionamento di Carrus parte da una provocazione: la Sardegna è come le banche, too big to fail, troppo grande per fallire. Troppo grande per essere abbandonata al suo destino. Ma chi si illude di risalire la china con misure assistenzialistiche è fuori strada. “Le partecipazioni di Stato - dice - hanno già fallito una volta. Quello che serve è mettere a sistema le risorse e condividere i progetti. Un piano per ritrovare il polo della metallurgia, recuperare gli oltre 200mila ettari di superficie irrigua su 300 mila abbandonati, rilanciare il turismo con un marketing comune. Ma l'industria è la base. Disneyland non è una prospettiva seria”.
A Cagliari il mix virtuoso sembra intravedersi. Secondo i dati Svimez, il capoluogo sardo è la prima provincia del Mezzogiorno per tasso di occupazione, il 54,8%, la seconda per reddito pro capite (18.692 euro), la seconda per media di start up (14,71 su mille contro una media nazionale di 14,72), la terza per export con 4,8 miliardi di euro (trainata dalle vendite di petrolio raffinato della Saras di Sarroch). Dunque, grande impresa, più vitalità della nuove attività, più un turismo dei servizi che spinge l'artigianato e la piccola manifattura. “I dati del capoluogo non mi sorprendono”, dice Stefano Usai, professore di economia applicata a Cagliari ed esperto del sistema industriale regionale. “La provincia sta raggiungendo la dimensione critica dell'economia di agglomerazione con i servizi al turismo, la piccola manifattura, l'artigianato. La vitalità delle start up è dovuta a una gemmazione, se si vuole tardiva, dell'ecosistema Tiscali. Nel tempo è nato un distretto marshalliano che ha sfruttato anche le competenze dell'Università ed è un polo di attrazione anche per le grandi imprese hig-tec”.
Usai disegna uno scenario di sviluppo a più facce che poggia sull'industria ma senza le forzature del passato. “Il modello industriale va mantenuto, anche se non è la vocazione principale dell'isola. Si deve trovare la giusta misura tra costi ambientali e benefici economici. Si deve spingere sulla filiera verticale dell'agroindustria, poco sfruttata, e fare leva sulle produzioni locali. Ma con strutture e massa critica adeguate, partendo dalla domanda interna dell'Isola. Poi, bisogna industrializzare il turismo, allargandolo a tutta l'Isola e uscendo dal modello dei villaggi-enclave della Costa Smeralda”.
Il presidente di Confindustria Sardegna, Alberto Scanu ha un approccio molto diretto. Snocciola i dati e i primati negativi della Sardegna partendo dal dato più banale ed evidente, l'isolamento. Penultima per Pil e reddito pro capite tra le isole del Mediterraneo (ultima la Sicilia). Penultima per disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno (ultima la Calabria). Unica isola del Mediterraneo che si sta depopolando, nel 2050 gli abitanti saranno esattamente la metà di adesso. “A dispetto delle nostre enormi potenzialità, di risorse naturali e ambientali, di territorio”, dice Scanu. La diagnosi è impietosa “Siamo vittima della mancanza di programmazione e di un ambientalismo che confonde l'isola di Budelli con la Sardegna. E' evidente – si infervora Scanu – che il turismo è una risorsa imprescindibile, ma i buoni risultati di Cagliari sono il frutto della crescita dell'impresa”. Le tre aree industriali, la ripresa della raffinazione, la qualità dell'Università sono la base su cui si innesta, a cascata, tutto il resto. “Cagliari è zona franca doganale dal 1991 e ora anche Zona economica speciale. Intorno al porto canale ci sono 900 ettari di potenziale area di sviluppo, ma sottoposte a tutela paesaggistica. Per ogni insediamento serve l'autorizzazione paesaggistica. Zte ha manifestato l'interesse di fare qui il suo polo logistico per il Mediterraneo, ma dobbiamo essere pronti e veloci. La burocrazia può frenare tutto”.
Scanu, come Lutzu, come Contu, come Carrus, come tutti i sardi pensa che l'Isola ce la può fare ma non da sola. La metallurgia è un fattore per il Paese, le bonifiche e le riconversioni industriali sono una chiave per la Regione, ma servono le infrastrutture, la rete del metano, l'elettrificazione dei treni, la continuità territoriale. Le richieste di una vita. La Sardegna, se non al centro, come la vorrebbero i sardi, almeno nell'agenda del Paese.
loading...