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Calenda: «No alle mancette elettorali, voteremo le misure sensate»

Il leader del Terzo polo parla nella sede di Azione, con alle spalle un grande ritratto di Piero Gobetti: il giovane liberal-democratico morto nel 1926 in seguito ai pestaggi fascisti

di Emilia Patta

Lombardia, Letizia Moratti si candida con il Terzo Polo

4' di lettura

«Riconosco a Giorgia Meloni la fermezza con cui sta mantenendo l’Italia schierata con gli Usa e con la Nato sulla guerra in Ucraina. E penso che la storia di una donna che parte da una condizione svantaggiata e che diventa presidente del Consiglio sia una bella storia. Una giovane “underdog” che ce l’ha fatta, bene. Ma qui manca una visione di Paese: che cosa vuole fare la presidente del Consiglio sulla sanità, sulla scuola, sulle imprese? Non si capisce. Per ora prevale l’agenda Salvini». Carlo Calenda ci riceve nella sede di Azione, a pochi passi da Largo di Torre Argentina, con alle spalle un grande ritratto di Piero Gobetti, il giovane liberal-democratico morto nel 1926 in seguito ai pestaggi fascisti. Domani a Napoli la sua Azione inizierà il processo che porterà alla fusione con Italia Viva: «Intanto eleggiamo Mara Carfagna presidente di Azione. La cosa che vogliamo dimostare è che gli steccati tra chi viene dalle culture riformiste, liberali e popolari devono essere abbattuti: è la stessa logica per cui abbiamo candidato Letizia Moratti alla guida della Lombardia».

Senatore Calenda, lunedì il Cdm dovrebbe approvare la Legge di bilancio. La vostra astensione sulla Nadef potrebbe trasformarsi in voto favorevole?

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La vedo difficile. Se prendiamo i “titoli” di questo governo - dalle ong al tetto al contante, dalla pace fiscale al condono, da quota 41 alla flat tax sulle partite Iva - sembra di essere all’anno zero delle piccole mancette elettorali. Noi abbiamo voluto premiare con l’astensione una Nadef equilibrata, non avventuristica, che metteva con grande chiarezza i soldi in più sul caro energia. Dopodiché i restanti 9 miliardi a disposizione del governo Salvini se li è già mangiati. Anche il taglio del cuneo, se generalizzato, non servirà a niente. La nostra proposta è molto chiara: con 4-4,5 miliardi si arriva alla diminuzione del 50% delle tasse fino a 30 anni e all’azzeramento fino a 25. Un intervento che andrebbe accompagnato a una revisione profonda del reddito di cittadinanza che escluda l’erogazione per i giovani fino a 30 anni senza figli, come è in Francia. Presenteremo nei prossimi giorni una proposta specifica che si fonda sulla non erogazione fino a 30 anni accompagnata dall’intervento delle agenzie private all’interno del placement così come era previsto dalla riforma Draghi mai attuata da Orlando. Se ci fosse un indirizzo che noi condividiamo voteremo la misura.

Pace, Calenda: parte sinistra dimentica valore resistenza

Qualcuno ha sottolineato una sostanziale continuità di Meloni con Draghi in economia.

La continuità non c’è sulla cosa più importante, ossia sulle riforme. Né sui capitoli di spesa su cui insistere. Non abbiamo soldi da mettere dappertutto: li mettiamo sulla sanità o sulle pensioni, che senso ha mandare in pensione prima gli italiani se poi a causa delle liste di attesa chilometriche devono pagarsi le cure da sé? E ancora: li mettiamo sulla produttività delle imprese o sulla flat tax per gli autonomi che privilegia in maniera smaccata chi lavora con partita iva rispetto a un operaio? Che logica di Paese c’è, perché uno deve pagare il 15% di tasse e un altro il 40%? Stiamo costruendo un’anomalia dopo l’altra. Anche sull’immigrazione. Lasciamo per un attimo da parte la questione umanitaria. L’operazione Piantedosi contro le ong e il conseguente incidente con la Francia ha provocato questo: su 1.100 migranti 300 sono scesi in Francia come era già stato stabilito, ma in compenso abbiamo perso un accordo di ricollocazione che vale 10mila migranti e abbiamo ottenuto un rafforzamento dei controlli alle frontiere. Il che significa che i migranti che se ne andavano dall’Italia dopo essere sbarcati non se ne andranno più. È tutto uno spettacolo a favore del Tg4, non è un modo di governare i problemi.

Sulle riforme resta la vostra apertura?

Sappiamo che a Meloni piace il presidenzialismo, ma poi? Da parte nostra c’è una disponibilità a ragionare sul monocameralismo e sulle competenze tra Stato e Regioni: continua a sembrarci folle che le infrastrutture energetiche siano in balia del sindaco di Piombino piuttosto che della Regione Toscana: deve decidere lo Stato centrale. Ma della Bicamerale non si vede traccia, e nel frattempo l’autonomia portata avanti da Calderoli è destinata ad affossare il Paese. Senza i Lep, ossia i livelli minimi di prestazione, si aumenta solo lo squilibrio con il Sud. Un partito nazionalista come quello di Meloni che cosa ne pensa?

Chi dovrebbe entrare nel nuovo partito?

I radicali di Più Europa. E i riformisti del Pd, che secondo me non hanno e non avranno agibilità politica dentro un partito in cui la frangia massimalista che guarda al M5s è ormai prevalente. Si va configurando un sistema politico a tre poli dove ci sarà un Pd junior partner di una sinistra a guida Conte, ci saremo noi con un centro riformista di cui questo Paese ha disperato bisogno e poi ci sarà Meloni, perché Fi è polverizzata e la Lega nei sondaggi è già sotto di noi nonostante il dimenarsi di Salvini.

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