Cambiamo musica, c'è un mondo di suoni là fuori
La verità è che, quando andava tutto bene, abbiamo dato i musicisti per scontati, abbiamo smesso di dare il giusto valore al loro lavoro. E allora possiamo immaginare che quando sarà tutto finito ripenseremo un ecosistema che permette solo a pochi talenti di vivere più che dignitosamente
di Claudio Todesco
2' di lettura
Ho fatto una cosa, tempo fa: ho sottoscritto un abbonamento a un'etichetta discografica chiamata 19'40”. L'ho fatto senza sapere con precisione che musica avrei ascoltato. Sapevo solo che, ogni quattro mesi, avrei ricevuto a casa un CD inedito di musica colta suonata con approccio antiaccademico. A causa delle misure di contenimento del Covid-19 la macchina produttiva s'è fermata e il loro ultimo disco non è stato ancora stampato.
L'altro giorno, però, ho ricevuto i file. Si tratta di una serie di interpretazioni di Tierkreis, le melodie di Karlheinz Stockhausen dedicate ai segni dello zodiaco. Mentre ascoltavo questa musica strana e misteriosa, che sembra condensare e poi dissolvere l'inquietudine che aleggia su tutti noi, ho capito di aver fatto la cosa giusta. Ho dato fiducia a musicisti che la meritavano.
Mai come nelle ultime settimane la categoria dei musicisti s'è scoperta fragile. Non mi riferisco a chi riempie i palasport e vende ancora dischi. Parlo di quelli che contano su un equilibrio instabile fatto di esibizioni dal vivo, lavori su commissione e registrazioni sporadiche, entrate incerte in tempi ordinari, figuriamoci durante una pandemia che ha pressoché azzerato ogni possibilità di esibirsi, di promuovere adeguatamente la musica, di sostentarcisi. La verità è che, quando andava tutto bene, abbiamo dato i musicisti per scontati, abbiamo smesso di dare il giusto valore al loro lavoro. E allora voglio immaginare che quando sarà tutto finito ripenseremo un ecosistema che permette solo a pochi talenti di vivere più che dignitosamente. Mi auguro che ne usciremo più consapevoli delle conseguenze delle nostre scelte, anche di quella banale che consiste nel decidere di ascoltare canzoni da piattaforme che hanno a cuore la remunerazione degli artisti.
Voglio illudermi che capiremo che, se oggi la musica che gira intorno è sciatta e conformista, è anche perché l'abbiamo impoverita noi, con la pretesa d'avere a disposizione milioni di canzoni, ascoltarle distrattamente e non pagarle. Sfrutteremo le occasioni che la Rete offre non per spiare le vite delle pop star nelle stories di Instagram, ma per apprezzare la creatività: gli abbonamenti come quello di 19'40”, il crowdfunding, il micro-mecenatismo di Patreon, gli mp3 su Bandcamp, il merchandise.
La musica che verrà la voglio immaginare più varia e plurale di quella di oggi. C'è un mondo di suoni là fuori che potremmo apprezzare se solo fossimo più curiosi: cantanti urban che mettono in musica la loro stranezza, pianisti classici che suonano con la foga di chitarristi, cantanti country lesbiche e femministe, folksinger che scrivono opere, gruppi rock che suonano in modo sgrammaticato ma elettrizzante, compositori d'avanguardia che flirtano coi Radiohead, produttori e creano fantasie elettroniche sbalorditive. Dovremmo ricordarlo quando finalmente usciremo di casa.
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