SOCIAL RESPONSABILITY

Cambiare volto alla plastica: la moda che guarda al futuro del Pianeta

Nel 2009, Javier Goyeneche è stato il primo a investire sul circolo virtuoso dei rifiuti marini. Oggi le strategie di riciclo e riuso di materiali di scarto si moltiplicano e sono sempre più deluxe.

di Alessandra Mattanza e Alexis Paparo

“Alone” dell'artista Angelo Bramanti, parte della serie fotografica omonima. Le installazioni sono realizzate dall'artista con detriti come reti, ruote, boe, frammenti di barche, arrivati dal mare sulle coste della Sicilia orientale e fotografati a ridosso di rocce o sabbia, con lo sfondo del mare.

6' di lettura

È difficile generare coinvolgimento ed empatia attraverso un numero astratto, ecco perché l'IUCN (l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ha accompagnato con un'immagine il suo ultimo report Mare Plasticum: The Mediterranean. È come se 500 container provenienti dai 33 Paesi che vi si affacciano riversassero ogni giorno, tutti i giorni, il loro contenuto in mare. Circa 229mila tonnellate, destinate a raddoppiare entro il 2040, che stanno trasformando una delle aree più strategiche dal punto di vista culturale, sociale ed economico del Pianeta in un cimitero di plastica. Alla base del problema il report identifica una cattiva gestione dei processi produttivi prima e dei rifiuti poi: il 94 per cento della dispersione riguarda macroplastiche portate da vie d'acqua e fiumi come il Nilo, il Po e il Reno che inevitabilmente si degraderanno in frammenti sempre più piccoli e difficili da recuperare. I 7.456 chilometri di coste con alta densità abitativa dell'Italia rendono appena più lieve il nostro secondo posto di Paese più inquinante, con 34mila tonnellate sversate all'anno, dietro all'Egitto, con 74mila.

Il fondatore del brand Ecoalf, Javier Goyeneche.

«Stiamo lavorando perché uno dei nostri prossimi interventi abbia come focus l'Italia», racconta Clemens Feigl della tedesca Everwave, ex Pacific Garbage Screening, che ha cambiato nome e focus per intervenire a monte, nella prima fase di dispersione della plastica in fiumi e corsi d'acqua. L'approccio prevede un sistema di piattaforme modulari che intercetta i detriti più leggeri trasportati dalla corrente, barche speciali con funzione attiva di raccolta dei rifiuti più grandi – «si arriva anche a 20 tonnellate in otto ore» – e un drone a direzionare entrambi. Nei piani c'è anche una fabbrica nei pressi dell'area di intervento per la trasformazione del materiale raccolto in nuova risorsa. Oggi le strategie per affrontare l'inquinamento del mare sono molte, ma il primo a immaginare, scommettere, e investire sul circolo virtuoso della plastica è stato Javier Goyeneche, che dal 2009 con il suo brand Ecoalf, converte i detriti del Mediterraneo in filati di alta qualità per abiti e accessori. Il tutto attraverso accordi di raccolta con 2.600 pescatori delle coste spagnole che hanno portato al recupero di oltre 600 tonnellate di plastica (dati 2019). Le ultime iniziative in Thailandia, Grecia e Italia puntano a esportare il modello.

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Shirt jacket 13, con imbottitura Thermore da plastica riciclata, ASPESI (240 €)

Di recente, Goyeneche è stato premiato come Social Innovator 2020 dalla Fondazione Schwab, legata al World Economic Forum, unico imprenditore europeo a ricevere il premio quest'anno e primo riconoscimento in assoluto assegnato a un brand di moda. Alessandra Mattanza lo incontrato per How to Spend it, per farsi raccontare la nascita e le prossime evoluzioni di un progetto visionario. «Anche se vivo a Madrid adesso, sono cresciuto in mezzo alla natura. Mio padre era un cavallerizzo di salto ad ostacoli olimpionico, mio nonno mi portava sempre a Maiorca. Ho passato la mia infanzia a metà fra mare e campagna, tra i cavalli e in barca. Ho sviluppato una forte connessione con il mare, che per me rappresenta l'energia pura e il senso di libertà», racconta Goyeneche. «Amo fare immersioni e mi ci è voluto poco per rendermi conto che il mare sta morendo. Per troppo tempo è stato considerato una grande discarica: ora è arrivato a un punto di saturazione. I rifiuti che si vedono in superficie sono nulla rispetto a quanto si trova sui fondali. Dalla Spagna alla Thailandia, la situazione è la stessa ed è grave».

Sneaker della capsule collection YATAY & NoMore Plastic: il 50 per cento dei ricavi sarà devoluto alla no-profit (290 €).

Ecoalf è nata da qui. «Nel 2009 le persone non si rendevano ancora pienamente conto di quanto l'emergenza ambientale fosse drammatica. Così ho avuto l'idea di creare un'azienda di moda che trasformasse i rifiuti marini di plastica. Lo scopo era duplice: rendere visibile e tangibile il problema, oltre che per provare a risolverlo. Così abbiamo inventato il filato di mare, riciclato e realizzato con bottiglie di plastica raccolte dai fondali del Mediterraneo. Recentemente in Italia, ho concluso un accordo triennale con la cooperativa dei pescatori di Civitavecchia, che punto ad espandere anche in altri porti italiani. I pescatori sono fondamentali perché contribuiscono attivamente alla raccolta. Abbiamo pensato di realizzare una linea di moda con i colori dell'oceano e una con messaggi chiari per esortare l'attivismo. A dicembre abbiamo in programma di lanciare una linea di mobili ecosostenibili, riciclando perfino vecchi materassi».

Save the Sea, realizzata con plastica post consumo e membrana Typhoon, che garantisce elevate prestazioni impermeabili e anti-vento, PAUL &SHARK (524 €).

Mentre la pandemia ha costretto il mondo a rallentare, parallelamente si sta diffondendo una coscienza più sensibile al Pianeta. «Durante i mesi del lockdown, i mari e gli oceani si sono in parte ripuliti e ripopolati, è migliorata la qualità dell'aria e dell'acqua. È la dimostrazione di quanto sia necessario trovare un equilibrio tra umanità e ambiente, attraverso azioni concrete di sensibilizzazione. Nei tre anni precedenti al lancio di Ecoalf ho viaggiato in tutto il mondo per trovare partner da coinvolgere. Come li convincevo? Invitandoli ad essere i leader del futuro, capaci di cambiare il mondo. Operare in modo sostenibile aiuta prima di tutto noi stessi, perché la creazione di modelli di business alternativi è la vera chiave per raggiungere il successo nel rispetto degli altri». La scelta di puntare sulla moda è stata strategica: «È la seconda industria più inquinante del mondo e, negli ultimi anni, nel settore si è diffuso un modello che punta su vendite promozionali e prezzi bassi, consumismo sfrenato e acquisto non necessario di capi che, nella maggior parte dei casi, finiscono dopo una sola stagione nelle discariche. Ogni pezzo, invece, deve tornare a essere un investimento di qualità che dura nel tempo».

Giacca 3 in 1 in poliestere e caffè riciclati, idrorepellente e odor-free (grazie alle proprietà del caffè), ECOALF (399,90 €).

La sensibilità di Goyeneche nei confronti della natura e del mare non è solo legata alla sua infanzia. «Più di ogni altra cosa è stata la nascita dei miei due figli, Alfredo e Alvaro, a spingermi ad agire concretamente. Diventare padre ha alimentato la mia coscienza ambientale. Perché viene spontaneo domandarsi: che Pianeta lasceremo ai nostri figli? Ma anche, come genitore, non posso far a meno di chiedermi: che esseri umani lasceremo al nostro Pianeta?». Davanti a un problema globale e circolare come l'inquinamento degli oceani, la strada vincente è quella della collaborazione. Fra attivismo e imprenditorialità, innovazione tecnologica e artigianalità, scienza e moda. Così nascono gli occhiali da sole realizzati da Safilo per The Ocean Cleanup. La no profit olandese è stata fondata nel 2013 dall'oggi 26enne Boyan Slat per ideare una tecnologia capace di rimuovere i rifiuti plastici dagli oceani. Dopo anni di test, l'organizzazione ha effettuato nel 2019 la sua prima raccolta dalla Great Pacific Garbage Patch, il più grande accumulo di rifiuti oceanico, adesso convertita in montature grazie al know-how di Safilo. Il materiale utilizzato per ogni paio di occhiali corrisponde alla pulizia di un'area grande come 24 campi da calcio e l'intera edizione limitata dovrebbe contribuire a riciclare le plastiche che occupano una superficie di 500mila campi da calcio (199 dollari, interamente devoluti alla preparazione del prossimo intervento).

Sul fronte delle collaborazioni, anche Yatay, che fa delle bottiglie di plastica post-consumo uno dei materiali principe delle sue sneakers ecosostenibili insieme a bio-polioli, legno e gomma, ha lanciato una partnership con No More Plastic. All'ente no profit viene devoluto il 50 per cento dei profitti della nuova capsule collection di quattro Yatay Irori, ognuna personalizzata dalle ambassador Cindy Bruna, Azza Slimene, Helena Christensen e Amelia Windsor (290 euro, in preordine sul sito). Ma, forse, il termometro del cambiamento è rappresentato da quanto l'utilizzo di un materiale recuperato da scarti post-consumo possa essere normalizzato e fatto entrare nei circuiti di approvvigionamento di marchi anche più tradizionali. La chiave è far dialogare la trasformazione sostenibile dei processi creativi e produttivi con i codici del brand. La shirt jacket di Aspesi va in questa direzione: un capo senza tempo, imbottito con ovatta Thermore prodotta da plastica post-consumo, che dà nuova vita a 10 bottiglie (240 euro). Poliestere riciclato e certificato, ma anche lana eco, cotone organico e piuma riciclata. Il percorso di responsabilità ambientale di Paul & Shark si declina nel progetto For the Sea, in cui l'utilizzo di materie prime sostenibili si lega a tecnologie produttive che aumentano l'efficienza nei consumi di acqua ed energia. Ne fa parte la collezione Save the Sea, che impiega il 100 per cento di plastica post-consumo (giubbotto impermeabile e antivento, 524 euro). A ottobre il brand ha esteso il concetto di seconda vita anche al tre per cento della sua produzione che annualmente non passa il controllo qualità. Invece di essere distrutti, i capi sono diventati pezzi unici grazie a interventi di alta sartoria che danno ancora un'altra impronta alla sostenibilità.

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