Campioni di spread: quando nel 1982 sfiorammo quota 1200 contro il Bund (il quintuplo di oggi)
di Enrico Marro
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Rossi, Tardelli, Altobelli: impossibile dimenticare quella magica estate del 1982 in cui una nazionale su cui nessuno avrebbe scommesso una lira stese a suon di gol i campioni del mondo dell’Argentina di Maradona, i marziani del Brasile di Falcao e la Germania Ovest campione d’Europa di Rummenigge. Quella calda notte di luglio, a Madrid, alzammo al cielo la Coppa del Mondo nello stupore e nell’ammirazione generale, a testa alta, contro il miglior calcio mondiale, alla faccia di tutti i gufi.
In quell’incredibile 1982 l’Italia però conquistò un altro primato, assai meno magico, passato mestamente sotto silenzio: quello dello spread. Quell’anno la forbice tra i rendimenti dei nostri BTp decennali e i Bund federali tedeschi osò innalzarsi su altitudini stratosferiche: 1175 punti base. Record mai più raggiunti nemmeno durante Tangentopoli e la crisi della lira (769 punti base), o nella crisi del debito sovrano del 2011 che costò il posto a Berlusconi e spianò la strada a Monti (574 punti base) o ancora in occasione del piccolo terremoto di qualche settimana fa (305 punti base) legato alla telenovela crisi di Governo. Attenzione: non dimentichiamo che nel primo periodo dell’euro, tra il 1999 e il 2005, lo spread tra i decennali italiani e tedeschi è stato in media di 24 risibili punti, rendendo il finanziamento del nostro debito assai agevole.
Non solo a livello calcistico, ma anche sul piano economico l’Italia del 1982 aveva un che di sudamericano: l’inflazione viaggiava intorno al 17% divorando il potere d’acquisto di stipendi, risparmi e pensioni, i BoT rendevano il 18%, i tassi d’interesse all’inizio dell’anno avevano addirittura superato il 25%. Vale la pena di rileggere le “Considerazioni finali” dell’allora Governatore della Banca d’Italia, il futuro premier e successivamente presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Dipingono un Paese incredibilmente fragile, con una moneta debole e instabile, preda dell’inflazione ma soprattutto in balìa di una spesa pubblica incontrollata. Destinata purtroppo a far impennare un rapporto debito pubblico-Pil che all’epoca era appena al di sopra il 60% (meno della metà di quello attuale).
In quei tempi non sospetti, la Banca d’Italia metteva in guarda i Governi dall’usare l’arma della spesa pubblica con eccessiva disinvoltura, rischiando di creare quel colossale debito che poi si è materializzato e che da un quarto di secolo ci pende, affilatissimo, sul collo, rubandoci il futuro. «Nel biennio 1981-82 il prodotto interno lordo è rimasto stazionario - scriveva Ciampi - ma il settore pubblico ha aumentato del 14% il suo debito in termini reali, mentre il debito del Paese verso l'estero è aumentato di 9 miliardi di dollari». Il disavanzo delle amministrazioni pubbliche italiane nel quinquennio 1977-82 aveva superato il 10% del Pil, notava preoccupata Bankitalia, contro l’1% degli Stati Uniti.
Su spesa pubblica, deficit e debito bisogna correggere la rotta, scriveva in quei tempi lontani Ciampi: «La correzione deve affrontare il problema della spesa, modificandone l’angolo di rotta. I progressi nel campo della funzione sociale potranno essere salvaguardati e resi duraturi solo se saranno posti in una vera cornice di giustizia distributiva, di stabilità monetaria, di efficienza». Ma la realtà era un’altra: nell’Italia del 1982 erano allegramente «stati introdotti sistemi di intervento pubblico che comportano nel presente, e ancor più nel futuro, spese incompatibili con le più ottimistiche previsioni di crescita, promettendo la distribuzione di un reddito non prodotto e non producibile in tempi brevi».
Ciampi chiudeva il suo discorso puntando l’indice contro l’inflazione, ma anche implicitamente contro la classe politica italiana («da noi orizzonti temporali limitati hanno impedito l’impostazione stessa di una politica antinflazionista di ampio respiro»). Ma soprattutto chiamava l’Italia alle sue responsabilità, con parole che pesano come pietre e che come pietre verranno lasciate affondare nell’indifferenza generale dei “formidabili” anni Ottanta.
«La società italiana deve scegliere – scriveva il futuro presidente - : ristabilire il dominio della ragione nel processo di riequilibrio dell’economia, facendosi artefice del proprio risanamento, o continuare a subire i costi crescenti di un aggiustamento operato nei fatti attraverso redistribuzioni inique di ricchezze e sprechi di risorse. Non si danno vie intermedie. Occorrono atti di volontà». Questa la polaroid scattata trentacinque anni fa, il 31 maggio 1983, sulla situazione italiana. Non poteva essere più attuale.
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