Canada: doppio deficit, debito privato e legami economici in primo piano
La crisi finanziaria originata negli Stati Uniti trascina infatti strutturalmente il Canada in double deficit: saldo delle transazioni dell’economia reale e bilancio pubblico in rosso
di Marcello Minenna
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Il 2008 rappresenta un anno chiave per la storia economica canadese. La crisi finanziaria originata negli Stati Uniti trascina infatti strutturalmente il Canada in double deficit: saldo delle transazioni dell’economia reale e bilancio pubblico in rosso (Figura 1).
La politica economica, fondamentalmente liberale, lascia al debito privato una parte del lavoro di compensazione della crisi; non a caso mentre il debito pubblico/PIL è oggi intorno al 100% quello privato si porta stabilmente sopra il 270% (Figura 2)
Il resto del lavoro viene affidato ad una politica monetaria espansiva che con tassi di interesse che dal 2008 al 2022 si sono mantenuti stabilmente sotto il 2%, e per lunghi periodi prossimi allo zero, hanno consentito sostenibili deficit di bilancio.
Tuttavia, proprio lo scorso 7 giugno la Banca Centrale canadese ha alzato i tassi da 4,50% (valore cui si attestavano dall’inizio dell’anno) a 4,75%.
L’imponente quantità di risorse naturali (gas naturale, petrolio, ferro, piombo, zinco, rame, nichel, uranio, oro diamanti, legname e loro derivati), di produzione agricola diversificata (grano, soia, carne) ed ittica destinate all’export aiuta l’economia del Paese dall’emblema della foglia d’acero ma espone allo stesso tempo il saldo del conto corrente agli andamenti dei prezzi e dei cambi (soprattutto del dollaro, principale valuta di regolamento).
L’esame dell’andamento del saldo della bilancia commerciale (i.e.: voce merci nell’ambito del Conto Corrente) (Figura 1) unitamente all’andamento di un indice di sintesi dei prezzi delle materie prime come il Commodity Research Bureau Index (CRB) ed all’andamento del tasso di cambio con il dollaro (Figura 3) consentono di interpretare plasticamente questa fragilità dell’economia canadese.
Il crollo simultaneo nel 2008 di prezzi e cambi determina infatti il repentino peggioramento del saldo commerciale che conduce il saldo di conto corrente in territorio drammaticamente negativo; il recente recupero è l’espressione dell’andamento speculare di queste grandezze.
Questa fragilità trova però un importante puntello nel basso costo dell’energia garantito da una florida industria idroelettrica coadiuvata dal nucleare (favorito dalla circostanza che il Canada è il primo produttore di Uranio al mondo) e dall’abbondanza di gas naturale, petrolio tradizionale e sabbie bituminose.
La dipendenza dal dollaro va letta in congiunzione ad una serie di legami molto forti con l’economia USA: oltre il 75% delle esportazioni e quasi il 60% delle importazioni sono statunitensi; anche sul fronte degli investimenti esteri si riscontra questa connessione: gli investimenti canadesi da e verso gli Stati Uniti raggiungono una quota del 50% del totale.
Le infrastrutture nei trasporti sono de facto una prosecuzione delle reti di comunicazione Statunitensi. Settori industriali strategici come quello manifatturiero o finanziario dipendono dal capitale e dalle scelte di policy made in USA.
Si pensi ad esempio che il recente intervento di politica fiscale di quasi 10 miliardi di dollari per impiantare una gigafactory automobilistica che porterà un indotto di oltre 30.000 posti di lavoro è una diretta germinazione dell’Inflation Reduction Act statunitense.
Questa interdipendenza si riflette sul fronte finanziario e viene ben rappresentata dai dati del Conto Finanziario (Figura 4).
Il dato degli investimenti di portafoglio vede infatti sistematici afflussi di capitale che si riverberano sul fronte del conto corrente in importanti fuoriuscite di redditi da capitale. Sempre dal Conto Finanziario emerge però un risultato sorprendente raggiunto dalla politica impressa dal Primo Ministro Trudeau: l’aumento degli investimenti diretti (cioè quelli sostanzialmente finalizzati a stabilire attività di impresa all’estero) ha portato ad una crescita formidabile dei conseguenti redditi da capitale, in grado finalmente di compensare la corrispondente quota derivante da investimenti speculativi di portafoglio (Figura 5).
Questi andamenti derivano da alcune direttrici di politica economica (tra l’altro confermate dalle prime posizioni occupate dal Canada in alcune classifiche del World Economic Forum): apertura all’immigrazione, competitività fiscale, affidabilità del sistema bancario, rafforzamento dell’integrazione nordamericana.
Il tema immigrazione è strategico per il Paese che si contende con l’Australia il primatodel Paese con meno abitanti del G20 e con la Russia quello di Paese a minore densità di popolazione in rapporto al territorio.
Il Canada non arriva infatti a 40 milioni di abitanti, il 20% della popolazione è over 65 con un tasso di natalità sotto 1,5 figli per donna ed ha quindi una cronica carenza di manodopera.
L’obiettivo del Governo è imprimere una forte accelerazione nell’ingresso di immigrati, triplicando gli attuali livelli di 130.000 immigrati/anno per raggiungere i livelli antecedenti alla prima guerra mondiale pari a oltre 400.000.
Non a caso il primo ministro Trudeau ha dichiarato che: il Canada mira a “diventare la principale destinazione mondiale per talenti, capitali e posti di lavoro".
Sul tema della competitività fiscale il Canada non è secondo a nessuno; crediti ed esenzioni d’imposta, contabilità e burocrazie semplificate, senza essere annoverato tra i paradisi fiscali in black-list. Questo trilemma in Canada viene reso possibile da accurate scelte di policy oramai consolidate nel tempo.
Il sistema finanziario è solido, fortemente integrato con quello Statunitense ai limiti della dipendenza; questa circostanza porta il governo canadese a guardare con estrema attenzione le recenti decisioni di “salvataggio” delle banche in crisi negli Stati Uniti.
Una ragionevole preoccupazione tenuto conto dell’impatto strutturale che la crisi del 2008 ha avuto sull’economia che ha l’emblema della foglia d’acero.
L’integrazione economica nordamericana è centrale e sta trovando nuova linfa nella gestione Biden come è emerso chiaramente durante il recente summit USA-Canada_Mexico (NALS - North American Leaders’ Summit) e nel nuovo accordo USMCA (USA-Mexico-Canada Agreement).
Il tema della reinternalizzazione delle catene del valore sia nella produzione che della trasformazione, evidentemente anche in chiave anti-cinese, ha assunto una dimensione sovrannazionale con una prospettiva nord-americana unitaria.
Queste direttrici vedono inoltre un’attenzione costante ai temi del rispetto degli accordi internazionali sul cambiamento climatico, aspetto di non poco conto per un Paese tra i primi al mondo per produzione di petrolio e di emissione di gas serra pro-capite.
La rilevanza del problema climatico, peraltro, è attestata anche dai recentissimi incendi (i cui effetti si riverberano addirittura sulla città New York) particolarmente violenti per via delle temperature elevate e delle condizioni di siccità e che, nel solo Quebec hanno già bruciato oltre 160 mila ettari.
In estrema sintesi si può concludere che la politica economica negli ultimi quindici anni ha portato in Canada un elevato reddito pro-capite di quasi 60.000 dollari, una disoccupazione contenuta al 5%, una finanza pubblica sostenibile ed un debito privato tra i più alti al mondo che nell’ultimo anno ha risentito della pressione innescata dal rialzo dei tassi ora al 4,75%.
È proprio quest’ultima fragilità – per via del rialzo dei tassi, dell’inflazione ed il conseguente aumento del costo della vita – che sta mettendo in discussione la solidità politica di Justin Trudeau; a nulla sembra che siano servite le recenti distribuzioni a pioggia di fondi per rimpinguare le tasche dei canadesi e, anzi, i rialzi dei tassi, stressando l’alto livello di debito privato, potrebbe innescare la deflagrazione della bolla immobiliare, come segnalato dal Fondo Monetario Internazionale.
Il 19 giugno votano quattro importanti distretti elettorali e le nubi che si addensano all’orizzonte, per il Primo Ministro di un Paese del continente americano che riconosce Carlo III come Monarca, non sono solo quelle degli incendi derivanti dal surriscaldamento globale.
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