Cannes, il crollo della borghesia secondo Haneke e Lanthimos
di Andrea Chimento
2' di lettura
È il giorno di Michael Haneke al Festival di Cannes: lo straordinario regista austriaco, due volte vincitore della Palma d'oro con «Il nastro bianco» e «Amour», è tornato sulla Croisette con «Happy End», uno dei titoli più attesi del concorso di quest'anno.
Al centro c'è una famiglia borghese che vive nei pressi di Calais, non preoccupandosi della povertà dilagante nei campi di migranti situati nella zona.
Un grave incidente subito dall'ex moglie di uno dei membri della famiglia porterà a una serie di inaspettate conseguenze.
Con il consueto rigore formale e una messinscena austera più che mai, Michael Haneke firma un'opera di stretta attualità, che si apre con immagini riprese da un telefonino e riflette sull'odierna situazione dell'Europa.
Un'opera che parla di indifferenza sociale, (auto)distruzione del nucleo familiare borghese, depressione e mancanza di sentimento in un mondo sempre più cinico e individualista: tematiche non certo nuove nella filmografia dell'autore ma comunque declinate con la solita, fortissima personalità da un regista che continua a scuotere come pochi altri.
Rispetto ai suoi più importanti lungometraggi del passato (pensiamo anche a «Niente da nascondere» o a «Funny Games»), però, «Happy End» parte in sordina, mettendoci più del previsto a colpire nel segno.
Per questo si può certo dire che Haneke abbia fatto di meglio in passato, ma ciò non toglie alla sua pellicola una forza dirompente che trova il suo apice nell'impressionante mezz'ora conclusiva: tra le sequenze da ricordare, un potentissimo dialogo tra nonno e nipotina.
Cast in gran forma, in cui – oltre alle ottime prove di Isabelle Huppert e Mathieu Kassovitz – svetta un memorabile Jean-Louis Trintignant, alla seconda prova per Haneke dopo «Amour».
La distruzione della borghesia è anche il tema principale di «The Killing of a Sacred Deer» di Yorgos Lanthimos, altro film molto atteso del concorso.
Un chirurgo di successo prende sotto la sua ala protettiva un ragazzo il cui padre è deceduto a seguito di un'operazione al cuore da lui stesso effettuata. Tra i due si creerà un rapporto sempre più inquietante.
Due anni dopo «The Lobster», il regista greco torna a Cannes con un altro film che si prepara a dividere (diversi fischi e alcuni applausi al termine della proiezione per la stampa), angosciante e molto diverso da qualsiasi altra pellicola proposta nel cartellone francese.
È la storia di una vendetta che prende pieghe violente e inaspettate, raccontata attraverso un notevolissimo apparato audiovisivo, in cui tanto i suoni quanto le immagini contribuiscono a creare un lungometraggio che non può lasciare indifferenti.
Peccato però che, al di là dell'estetica, siano troppi gli eccessi e i momenti autocompiaciuti, oltre a una narrazione che riesce a coinvolgere solo a tratti.
La debole conclusione contribuisce alla sensazione di aver assistito a un'occasione mancata. La coppia protagonista è interpretata da Colin Farrell e Nicole Kidman.
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