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Caos del nickel, prima causa contro il Lme: Elliott chiede danni per 456 milioni

A marzo il metallo era più che raddoppiato in poche ora e la borsa londinese aveva cancellato 5mila operazioni, facendo infuriare gli hedge funds

di Sissi Bellomo

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3' di lettura

Dopo l’incidente del nickel Elliott Investment apre le ostilità con il London Metal Exchange (Lme), citandolo in tribunale per ottenere 456 milioni di dollari di danni. Una causa che fa da apripista a probabili ulteriori azioni legali promosse da altri hedge funds.

Il prossimo potrebbe essere AQR Capital Management, fondo con ben 140 miliardi in gestione, che sostiene da tempo di avere allo studio una richiesta di risarcimenti: il suo fondatore, Clifford Asness, ha avuto parole di fuoco contro la borsa metalli londinese, spingendosi a definirla in un tweet «un’impresa criminale che si nasconde dietro una manifesta incompetenza».

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Anche il numero uno del fondo Citadel, Kenneth Griffin (che però non stava operando sul nickel) non si è morso la lingua, affermando che il London Metal ha agito in modo «incomprensibilmente sbagliato» e che l’evento segna «uno dei giorni peggiori nella mia carriera professionale».

A infuriare gli hedge fund è stato il modo in cui la borsa metalli ha gestito la situazione tra il 7 e l’8 marzo scorsi, quando il prezzo del nickel è quasi quadruplicato superando 100mila dollari per tonnellata, un rally anomalo e improvviso di fronte al quale l’Lme ha tardato a sospendere gli scambi, salvo poi mettere indietro le lancette dell’orologio, cancellando in modo retroattivo 5mila transazioni sotto ogni aspetto valide e legittime, per un controvalore di quasi 4 miliardi: una decisione giustifica con il timore di un rischio sistemico, che però ha mandato in fumo secondo le stime 1,3 miliardi di guadagni per una serie di fondi che si erano posizionati “lunghi”, a scommettere sui rialzi del nickel.

Tra gli investitori scottati oggi emerge che c’è anche Elliott, benché tuttora manchino dettagli sulle sue attività al Lme all’epoca dei fatti. La società di Paul Singer, attraverso le controllate Elliott Associates ed Elliott International, si è rivolta all’Alta corte d’Inghilterra perché si pronunci sulla cancellazione dei trade, atto che considera «illegale sulla base del diritto pubblico e/o in violazione dei diritti umani».

A rispondere delle accuse – e a risarcire i danni – sono chiamati sia il London Metal Exchange (dal 2012 di proprietà della Hong Kong Exchanges and Clearing) sia Lme Clear, che effettua le operazioni di compensazione.

Il Lme anticipa che si difenderà «con vigore» da accuse che definisce «prive di merito»: la cancellazione, spiega la nota della borsa di Hong Kong, è servita a «riportare il mercato all’ultimo momento in cui il Lme è sicuro che il mercato funzionasse in modo ordinato».

Sulla vicenda hanno acceso un faro anche la Financial Conduct Authority (Fca), in pratica la “Consob” britannica, e la Bank of England, dichiarando di voler aiutare la borsa metalli a rafforzare gli strumenti per prevenire il ripetersi di situazioni di caos.

A inizio marzo il mercato era entrato in allarme con la guerra Ucraina, perché la Russia è un importante fornitore di nickel, metallo usato per acciaio inox e batterie. Le tensioni al rialzo si sono esasperate quando il colosso cinese Tsingshan (un produttore di nickel con un’enorme posizione alla vendita, in gran parte fuori dal Lme) si è messo a ricomprare affannosamente contratti perché non riusciva più a pagare i margini: un poderoso «short squeeze» cui la borsa londinese ha reagito con ritardo, con armi spuntate e forse – si sospetta – frenata anche da conflitti d’interesse.

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