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«Capharnaum», un film di denuncia ad altezza di bambino

di Andrea Chimento

Capharnaum

2' di lettura

Sono passati undici anni da quando la regista libanese Nadine Labaki presentò a Cannes la sua interessantissima opera prima, «Caramel». Ora è tornata sulla Croisette per il suo terzo lungometraggio, forse quello più ambizioso in assoluto della sua carriera: «Capharnaum».

Inserito in concorso, il film ha come protagonista un ragazzino ribelle, che non accetta la vita che gli è stata imposta e decide di avviare una causa legale contro i suoi genitori per averlo messo al mondo.

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Fin dal soggetto si tratta di un film indubbiamente forte e di denuncia, girato ad altezza di bambino e con un cast di attori non professionisti.
«Capharnaum» è una fiaba politica in grado di far riflettere, che ragiona sul tema della crescita e della difficoltà di nascere e provare a farsi una vita in Medio Oriente.

L'impegno certamente non manca, ma l'autrice punta troppo su scelte retoriche che tolgono spontaneità al progetto, limitando così anche le emozioni e il coinvolgimento dello spettatore.
Nella parte centrale ci sono alcune sequenze toccanti, ma verso la conclusione lo stile sempre più urlato e la musica eccessivamente enfatica finiscono quasi per infastidire.

Nonostante i limiti formali, il film potrebbe trovare un posto nel palmarès per le complesse tematiche di cui parla.
All'interno della competizione principale è stato presentato anche «Knife + Heart» del francese Yann Gonzalez.

Knife+heart

Ambientato a Parigi alla fine degli anni '70, racconta di Anne, donna che ha fatto carriera producendo film pornografici. Un giorno riceve la notizia che un suo vecchio attore è stato accoltellato, ma potrebbe essere soltanto l'inizio di una spirale di violenza che ruota attorno ai suoi lavori.

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Con evidenti echi dal cinema di Brian De Palma, Gonzalez firma un thriller morboso, ambientato nel mondo dei porno gay, che incuriosisce soltanto nella prima parte.

Il regista punta su un'estetica visiva che guarda al periodo di riferimento, mentre i dialoghi sono meno curati e anche la sceneggiatura appassiona fino a un certo punto.

Tra i titoli meno rivelanti dell'intero concorso di Cannes, è un film totalmente privo di spunti da ricordare al termine della visione.

Whitney

Infine, da segnalare anche che fuori concorso è stato presentato «Whitney», documentario su Whitney Houston diretto da Kevin Macdonald.
Il regista scozzese conferma il suo talento nel genere (tra i tanti ha realizzato anche un documentario su Bob Marley, intitolato «Marley») con questo lungometraggio che descrive con incisività la vita, la carriera e la musica della grande cantante scomparsa tragicamente nel 2012. Ci sono anche importanti rivelazioni sull'infanzia della Houston, in particolare sulle presunte molestie subite dalla cugina, che avrebbero segnato tutta la sua esistenza.
Può incuriosire chi conosce poco la cantante americana, sia appassionare i fan: il risultato è un prodotto compiuto e riuscito, che scava a fondo nella vita travagliata (e non solo nei successi) dell'artista che il regista ha scelto di raccontare.

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