Capigruppo: le ipotesi in campo dopo le tensioni del voto al Senato
Fdi, Lega e M5s verso la conferma dei rappresentanti scelti nella scorsa legislatura. Pd e Fi in alto mare
di Emilia Patta
3' di lettura
Alla fine l’elezione del presidente della Camera, vista dall’opposizione, va liscia. Il metodo di votazione scelto non lascia infatti margini a manovre dei singoli rispetto alla scheda bianca, come invece avvenuto a Palazzo Madama con i 17 voti fuggiti in direzione di La Russa per compensare i voti mancanti di Forza Italia: i deputati del Pd presenti votano tutti per Cecilia Guerra, i pentastellati per Federico Cafiero de Raho e gli eletti di Azione\Italia Viva per il calendiano Matteo Richetti.
Ma è certo che le tensioni accumulate a Palazzo Madama avranno ricaschi sulle prossime partite: l’elezione dei capigruppo e degli uffici di presidenza, nonché dei presidenti delle commissioni di garanzia che spettano all’opposizione.
Anche sul fronte della maggioranza gli strascichi dello scontro tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni sull’elezione del presidente del Senato avranno ricaschi sui prossimi step, a cominciare dall’elezione dei capigruppo.
Martedì 18 le Camere convocheranno infatti tutti i gruppi per costituirsi ed eleggere i loro presidenti: è il passo propedeutico alla consultazioni al Quirinale per la formazione del governo a partire, con ogni probabilità, da giovedì 20.
Nella Lega si va verso la conferma di Riccardo Molinari a Montecitorio e di Massimiliano Romeo a Palazzo Madama. Conferma in vista anche per gli attuali capigruppo di Fratelli d’Italia: alla Camera Francesco Lollobrigida e al Senato Luca Ciriani.
Più complicata la situazione in casa berlusconiana dopo il grave smacco subito in Senato, dove la non partecipazione al voto di Fi è risultata ininfluente. Mentre alla Camera dovrebbe essere confermato Paolo Barelli (sempre che non rientri nella squadra di governo), in Senato potrebbe essere compensata per il suo mancato ingresso nell’esecutivo proprio Licia Ronzulli, pomo della discordia tra Meloni e Berlusconi.
L’uscente Anna Maria Bernini potrebbe essere recuperata al governo o come vicepresidente del Senato in quota maggioranza. Il Cavaliere punta in realtà anche a una vicepresidenza della Camera, ma certo lo strappo delle scorse ore con Meloni non aiuta.
Sul fronte delle opposizioni si va verso la conferma degli uscenti nel caso del M5s (Francesco Silvestri alla Camera e Mariolina Castellone al Senato) e all’elezione del calendiano Matteo Richetti alla Camera e della renziana Raffaella Paita al Senato per il cosiddetto Terzo polo.
Molto più complicata la situazione del Pd, dove lo storico potere delle correnti si somma a una situazione precongressuale. L’indicazione del segretario Enrico Letta di confermare le uscenti Debora Serracchiani a Montecitorio e Simona Malpezzi a Palazzo Madama si scontra con la volontà della sinistra interna di pesare di più nei nuovi gruppi, dove la componente degli ex renziani di Base riformista è molto ridotta.
L’alternativa potrebbe dunque essere Anna Ascani alla Camera e un derby tra Valeria Valente e Anna Rossomando, orlandiana doc, al Senato. Le perdenti potrebbero essere compensate con le vicepresidenze d’Aula. Anche perché gli altri papabili dem per le vicepresidenze, i ministri uscenti Lorenzo Guerini e Dario Franceschini, puntano ad altro: il primo si è reso disponibile per la guida del Copasir nel caso di richiesta unanime, il secondo per la guida della Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari del Senato.
Ma l’elezione a presidente della Camera di uno storico antiabortista e difensore della famiglia tradizionale come Lorenzo Fontana sta facendo crescere tra i dem l’ipotesi di candidare alla vicepresidenza Alessandro Zan, il cui nome è legato alla nota legge contro l’omotransfobia stopppata in Senato dal centrodestra.
Dopo l’elezione dei capigruppo sarà dunque la volta, mercoledì, dell’elezione degli uffici di presidenza: oltre ai quattro vicepresidenti d’Aula, due dei quali spettano all’opposizione, ci sono anche otto segretari e tre questori. E il Terzo polo già annuncia battaglia: «Non possono spartirsi tutto Pd e M5s». Mentre dem e 5 Stelle accusano a loro volta i caledian-renziani di essersi messi d’accordo con il centrodestra per far eleggere Maria Elena Boschi alla Vigilanza Rai, che spetterebbe a loro.
loading...