Capitale italiana della Cultura, una policy in evoluzione
Contestualmente alla pubblicazione del nuovo bando per la selezione della nuova Capitale 2026, il MiC con la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali ha presentato i risultati della prima analisi organica sul programma analizzando gli effetti prodotti sui territori coinvolti dal 2015 al 2022
di Roberta Capozucca
I punti chiave
6' di lettura
All'indomani della pubblicazione del nuovo bando per la selezione della Capitale italiana della cultura 2026, la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, in collaborazione con PTSCLAS, ha presentato i risultati dell'analisi condotta sui territori coinvolti dal programma Capitale italiana della Cultura tra il 2015 e il 2022. Sono, infatti, passati ormai otto anni dall'avvio del programma, un lasso di tempo relativamente breve se comparato all'esperienza della Capitale europea (la cui prima edizione risale al 1985), ma sufficiente per tirare le somme e capitalizzare le esperienze di una policy che si sta plasmando ed evolvendo assieme allo stesso settore culturale. Attraverso una lettura critica dei meccanismi e dei processi innescati dal programma, lo studio riesce a superare la limitatezza dei dati, costruendo un modello interpretativo che rilegge gli indicatori d'impatto e li intreccia con gli obiettivi della policy stessa.
Il programma
Nell'anno in cui l'Italia fu scelta per ospitare la Capitale Europea della Cultura 2019, l'allora Mibact decise di dare seguito allo sforzo progettuale delle città che, a livello nazionale, si contendevano il titolo europeo. Fu così che, nel 2014, a seguito della nomina di Matera a Capitale Europea della Cultura del 2019, il Ministero decise di conferire ex aequo il titolo di Capitale italiana della Cultura 2015 alle altre cinque finaliste non vincitrici: Lecce, Siena, Cagliari, Perugia e Ravenna. Dato il successo riscontrato dall'iniziativa, il D.L. 83/2014 (L. 106/2014: art. 7, co. 3-quater), reso permanente dalla Legge di bilancio 2018, ha previsto che il Consiglio dei Ministri conferisse annualmente il titolo di Capitale italiana della Cultura (CiC) attraverso una selezione pubblica e un finanziamento nel limite di un milione di euro a valere sulla quota nazionale del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione.Solo pochi giorni fa il MiC ha pubblicato il nuovo bando per selezionare la Capitale italiana della Cultura 2026. Entro il 4 luglio 2023, i Comuni, le Città metropolitane e le Unioni di Comuni, che non abbiano concorso alle due precedenti edizioni, potranno presentare la manifestazione di interesse preparatoria alla trasmissione del dossier completo che dovrà avvenire entro il 27 settembre. Dopodiché, entro il 15 dicembre, una Giuria di esperti selezionerà i 10 progetti finalisti che verranno discussi e analizzati pubblicamente per arrivare alla nomina di Capitale della Cultura 2026 entro la fine di marzo 2024, facendola seguire ad Agrigento 2025.
La ricerca
La nuova ricerca di Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali “Capitale italiana della Cultura. Dal 2015 al 2022: dati, esperienze e cambiamenti”, non ancora pubblicata ma presentata in anteprima nel corso di ArtLab 2023 a Bari, analizza gli effetti che l'iniziativa ha avuto sulle città insignite del titolo dal 2015 al 2022 e lavora, al contempo, sulla messa a punto di un modello specifico di valutazione dell'iniziativa. Lo studio non si limita a identificare semplicemente il numero di turisti arrivati o dei biglietti di musei venduti, ma cerca di costruire un modello di analisi che trova negli obiettivi e nei criteri di selezione del bando stesso gli ambiti di valutazione, i perimetri all'interno dei quali ricercare gli effetti dell'iniziativa. In questo senso, dunque, il programma della CiC è stato letto come un innesco funzionale per l'attivazione di altre dinamiche di sviluppo cittadino, facendo assumere al milione di euro di investimento pubblico un significato tutto nuovo, profondamente diverso da quello meramente economico, o meglio finanziario.
Gli ambiti di indagine della valutazione sono stati desunti a partire dallo studio della letteratura di settore e del programma di Capitale della Cultura, attraverso l'analisi degli obiettivi e dei criteri di valutazione esplicitati nei bandi dell'iniziativa che, seppur evoluti negli anni, possono essere categorizzati nei seguenti 5 ambiti:
● Vivacità culturale
● Accesso, partecipazione e senso di appartenenza
● Modalità di organizzazione e gestione dell'evento
● Attrattività turistico-culturale e posizionamento mediatico
● Trasferimento tecnologico e imprenditorialità
I risultati
Guardando alle città oggetto della ricerca - Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena (2015), Mantova (2016), Pistoia (2017), Palermo (2018), Parma (2020-21) e Procida (2022) - risulta evidente che il principale ambito perno dei modelli di sviluppo culturale proposti dalle città sia la vivacità culturale, intesa come processo volto allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi culturali. Una diversificazione e un rinnovamento dell'offerta che stimolano la partecipazione alla vita culturale, la crescita del pubblico dei luoghi e degli eventi culturali con l'inclusione di target specifici.
Rispetto agli effetti prodotti, uno fra i più rilevanti evidenziati è quello relativo all'individuazione di nuove forme di gestione, che può avere un effetto duraturo sulla organizzazione culturale della città, ad esempio il partenariato pubblico-privato, oltre che del consolidamento delle reti fra vari soggetti pubblici, privati o del terzo settore che collaborano insieme all'Amministrazione proponente, adottando modelli di funzionamento vari fra loro. Per i modelli di sviluppo culturale in cui un ruolo centrale è da attribuire all'imprenditorialità e al trasferimento tecnologico, le due città che più hanno puntato su questo ambito sono rappresentative di scelte di politica culturale opposte: Ravenna (2015) ha sfruttato la CiC come vettore di sviluppo in un settore ancora poco strutturato, mentre per Parma (2020-2021) si è trattato di mettere a valore una vera eccellenza del territorio riconvertendone il potenziale a favore della crescita culturale.
Passando ad esaminare la legacy, anche in questo caso è stato proposto un modello di rilettura critica. Osservando complessivamente i casi esaminati, in tutte le città si è rilevato che l'anno da Capitale ha arricchito e/o diversificato l'offerta culturale cittadina, impattando sull'aumento dei visitatori e fruitori dei siti culturali cittadini e del miglioramento dell'immagine mediatica della città. È interessante anche notare che la crescita del turismo culturale locale è aumentato negli anni contestualmente al maggior apprezzamento e riconoscibilità del programma su scala nazionale. Nel 2015 furono ben pochi i segni “più” registrati, Cagliari chiuse con -8% negli arrivi e -5% nelle presenze, Perugia con +3% e -4% e Ravenna con un +3% e -3%, Siena perse in presenze (-7%) ma crebbe in arrivi (+4%); l'unica ad avere un boom fu Lecce, che registrò +11% negli arrivi e +15% nelle presenze.
Il trend si è però rafforzato negli anni, registrando una crescita costante. Il record sugli arrivi è di Pistoia, che nel 2017 è cresciuta del 21%, ma l’effetto della Capitale della Cultura ha portato enormi benefici anche a Mantova, passata da 99.786 arrivi a 119.443 e con una crescita delle presenze del 20%. Anche a Palermo, pur in misura ridotta, nel 2018 crebbe il turismo (+10% e +8%). Nel quadro che porta a calcolare il dato mediano degli arrivi (+9%) è compresa anche Matera, Capitale europea della cultura, che è quindi un caso particolare: qui le presenze nel 2019 crebbero da poco meno di 500.000 a 730.434 (+33%).
È insomma indubbio che l'anno da Capitale comporti una crescita nell’immagine del territorio, frutto di un impegno e di un investimento in comunicazione e in media partnership di qualità. Come commenta Alessandra Vittorini, direttore della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, “il lavoro di valutazione condotto ci ha fornito sin qui numerosi spunti di riflessione. Tra i tanti, la consapevolezza del fatto che per valutare gli effetti di un progetto culturale complesso e di ampio respiro come quello della Capitale italiana della Cultura occorre andare ben oltre la mera dimensione economica, ma ampliare lo sguardo ad altre dimensioni, anche se più difficilmente quantificabili. Affiancare ai dati le informazioni, alle rilevazioni le interpretazioni, tentando di coniugare, negli strumenti di indagine e in quelli di decodifica, la dimensione quantitativa e quella qualitativa. Banche dati statistiche, ma anche survey, interviste e focus group, integrando quel che è direttamente quantificabile con ciò che è percepito da chi quel progetto lo anima o ne fruisce. E cercando di decifrare e misurare ciò che quel progetto è capace di sedimentare nei territori e nelle esperienze personali e collettive in termini di crescita, sviluppo di competenze, capacità di disegnare nuove visioni di sviluppo e di attuarle.” In questo senso la ricerca prodotta rappresenta la prima fase di un più ampio processo di monitoraggio e valutazione degli effetti che, se implementato per ogni edizione ed integrato del bando, permetterebbe un'osservazione a lungo termine dell’iniziativa e della sua legacy che tenga conto di come i territori siano riusciti a capitalizzare questi processi.
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