Opinioni

Capitali, scuole e incubatori dietro le start up francesi

di Andrea Goldstein

(akirra28 - stock.adobe.com)

4' di lettura

L’anno è iniziato in modo decisamente fausto per la French Tech. In meno di tre settimane, le start up transalpine hanno raccolto 1,7 miliardi di euro – dopo i record del 2021, quando l’ammontare è stato di 11,6 miliardi, stracciando quello dell’anno precedente (+115%). Altri primati del 2021 sono stati i round di raccolta superiori ai 100 milioni (22, rispetto a 13 nel 2020) e la maggiore levée de fonds (Sorare, specialista degli Nft, ha raccolto 586 milioni).

Da solo otto a fine 2020, le licornes, il termine francese per designare gli unicorni valutati un miliardo o più, sono passate a 26. La settimana scorsa alla graduation di Exotec (robot per la logistica) è seguita Spendesk (soluzioni per la gestione dei pagamenti aziendali). Al di là delle somme in gioco, l’impatto sull’occupazione è significativo. La prima, che ha già 360 salariati per un fatturato di 126 milioni, prevede di assumere 500 ingegneri in tre anni e altrettanto personale per altre funzioni; la seconda conta di passare da 400 a 700 collaboratori nel corso del 2022.

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Dietro questi risultati c’è l’attuale disponibilità di capitali, francesi e internazionali. La giapponese Softbank ha partecipazioni in Sorare, Contentsquare, Swile e Vestiaire Collective e l’americana General Atlantic, in Back Market, ManoMano e Spendesk. Un altro esempio è Back Market, che si occupa di recupero di prodotti elettronici e vale più di 5 miliardi. Negli ultimi mesi è stata ripetutamente sollecitata dal fondo Sprints Capital che non era riuscito a posizionarsi in occasione del round di maggio 2021 e che alla fine ha convinto i fondatori ad allargare l’azionariato.

Al di là del settore in cui operano e del posizionamento geografico (domina l’Île de France, la regione intorno a Parigi), è interessante analizzare da dove arrivano i 61 fondatori e co-fondatori. I dati di Figaro Étudiant mettono in luce il ruolo centrale delle grandes écoles. Spicca l’École normale supérieure, al primo posto con quattro laureati alla pari con Hec, seguite da Polytechnique a tre (come l’Escp). Montpellier Business School, che non è grande école, fa quasi da intrusa in questa lista, dove appaiono anche l’Essec, Em Lyon, l’École des Ponts ParisTech, l’Edhec e l’Insead.

I campioni della French Tech sono per lo più secchioni, che sempre più spesso seguono una duplice formazione economia-ingegneria, come Hec+Polytechnique o Hec+CentraleSupélec. E non sono rari coloro che hanno proseguito anche oltre, come David Khuat-Duy di Ivaula (dottorato a Paris Dauphine) o il normalien Frédéric Mazzella di BlaBlaCar col master di Stanford. A fare da parziale contraltare, tre autodidatti che si sono fermati prima del bac.

Un pilastro dell’ecosistema francese sono gli incubatori che le grandes écoles mettono a disposizione degli allievi. Essec Ventures, per esempio, ha accolto Jonathan Cherki e la sua Contentsquare. Senza dimenticare eFounders, uno startup studio che dal 2011 ha generato 28 iniziative, tutte specializzate nel SaaS, modelli di software basati sull’abbonamento. Tra cui Aircall e Spendesk, uno dei pochi unicorni fintech a essersi sviluppato all’estero (metà della clientela è in Germania e Regno Unito), mentre la maggioranza hanno difficoltà nella fase di internazionalizzazione. Il governo le sostiene in maniera attiva, in particolare con la diplomazia economica affidata al segretario di Stato per la transizione digitale (Cédric O) che organizza la presenza tricolore al Es di Las Vegas.

Poco prima dell’apparizione del Covid-19, Emmanuel Macron aveva fissato l’obiettivo di avere 25 licornes entro il 2025. È stato raggiunto in grande anticipo, malgrado la recessione, anche grazie al piano Deep Tech del 2019, dotato di 2,5 miliardi per incoraggiare gli scienziati a trasformarsi in imprenditori. Eppure nel 2021 la Francia è stata superata da Regno Unito (32,4 miliardi di euro, + 155% sul 2020) e Germania (16,2 miliardi, + 209%) e non appare nella Top 10 delle più grandi operazioni dell’anno, capeggiata dalla svedese Northvolt di cui si è trattato su queste colonne la settimana scorsa. Questi tre Paesi, insieme a Svezia e Olanda, concentrano due terzi dei 115 miliardi raccolti in Europa nel 2021 – il confronto con l’Italia è doloroso e del resto solo Satispay appare nel ranking Cb Insights delle 38 startup continentali con maggiore valorizzazione. Ora Parigi sta spingendo l’acceleratore, allocando 5 miliardi (2 in crediti agevolati e 3 in equity) per le startup nel piano di rilancio France 2030.

Tutto ciò da nuovo vigore alla mission French Tech, cioè l’unità specializzata di giovani funzionari con le competenze classiche per gestire le politiche pubbliche, ma anche quelle nuove necessarie per concepire, promuovere e finanziare programmi del digitale. Non a caso la loro sede si trova a Station F, il più grande campus di start up al mondo. È probabile che vadano spesso alla Felicità, l’attigua pizzeria Xxl di un’altra avventura imprenditoriale (del tutto materiale), Big Mama. Una catena che sta aprendo in tutta Europa e che sarebbe potuta essere italiana e invece è francese – ma questa è un’altra storia.

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