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Caporalato, condizioni capestro e diritti negati fanno scattare il reato

La Cassazione annulla un’ordinanza con la quale, per circa 300 lavoratori, era stata affermata solo la violazione delle norme sul lavoro

di Patrizia Maciocchi

(Alberto_Patron - stock.adobe.com)

3' di lettura

Scatta il reato di caporalato e non la semplice violazione della normativa sul lavoro per chi nega ai dipendenti extracomunitari i diritti previsti dal contratto e li fa stare in alloggi fatiscenti facendosi pagare l’affitto. La Cassazione (sentenza 11546) accoglie il ricorso del Pubblico ministero contro la decisione del Tribunale delle libertà di respingere la richiesta di applicazione di una misura cautelare a carico di un cittadino del Bangladesh per il reato previsto dall’articolo 603-bis del Codice penale.

La Sentenza

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Le società ad Ancona
L’indagato, capocantiere in una società di Ancona, era finito sotto inchiesta sulla base di una contabilità occulta dalla quale risultava che numerosi lavoratori, distaccati anche in cantieri diversi, firmavano fogli in bianco, dai quali risultavano ore di lavoro e compensi. Un controllo incrociato con le intercettazioni, che svelavano una prassi secondo la quale in busta paga venivano indicate meno ore di quelle svolte e i lavoratori dovevano restituire parte delle somme, con una paga che oscillava tra i 6 e gli 8 euro l’ora. Il Tribunale aveva valorizzato le dichiarazioni di quattro operai che avevano detto di aver sempre ricevuto quanto dovuto e di non aver riscontrato altre irregolarità. Per i giudici del riesame il quadro era tale da far emergere irregolarità di tipo lavoristico-amministrativo e un trattamento non in linea con i contratti collettivi di settore.

Gli indizi di sfruttamento e degrado
Mancavano però i gravi indizi di sfruttamento e di degrado, senza i quali lo stato di bisogno o la clandestinità degli stranieri, non bastavano ad affermare il reato di caporalato. La decisione che non aveva trovato d’accordo la procura presso il Tribunale di Ancora che aveva dato un’ampia descrizione dei fatti. Per la pubblica accusa l’indagato, con due sodali, aveva, attraverso varie Srl con sede ad Ancona, messo in piedi un sistema grazie al quale massimizzava i profitti provenienti da appalti e subappalti di verniciatura e coibentazione, ottenuti tramite lo sfruttamento di circa trecento extracomunitari originari del Bangladesch. Inique le condizioni imposte per lavorare. La retribuzione era stabilita con il sistema della paga globale, pari al semplice prodotto del compenso orario, al di fuori dei limiti dei contratti collettivi nazionali. Non erano previste ferie, “Bonus Renzi”, Tfr e maggiorazioni per i notturni. Gli operai dovevano poi restituire le eccedenze rispetto alla paga globale. Impossibile beneficiare di congedi per malattia in caso di infortunio.

Le condizioni capestro
Gli alloggi, per i quali veniva pagato un canone, erano fatiscenti. In più, secondo la ricostruzione del Pm, i lavoratori erano disposti a restituire parte delle somme avute sotto il ricatto del licenziamento, oltre che a dichiarare, su fogli in bianco da firmare all’occorrenza, di aver ottenuto anticipi e dispositivi di protezione.  Il tutto dimostrava che l’indagato disponeva degli operai oltre i limiti del rapporto di lavoro datore-dipendente. Per finire, nel momento dell’arruolamento i cittadini stranieri erano costretti a giurare fedeltà al Corano: ulteriore dato indicativo della sudditanza nei confronti del boss. Per la pubblica accusa c’erano tutti gli elementi per affermare lo stato di bisogno: dall’impegno a non denunciare eventuali incidenti sul lavoro, all’esigenza di legittimare la presenza sul territorio con un rapporto di lavoro subordinato o di rinnovare il permesso, alla difficoltà con la lingua italiana che rendeva difficile trovare un’altra occupazione. Per la Suprema corte il ricorso è fondato e ci sono i gravi indizi di colpevolezza, tali da far ritenere qualificata la probabilità di condanna. L’ordinanza impugnata ha dato un peso alle dichiarazioni di quattro operai sulla regolarità del rapporto ma ha trascurato gli elementi forniti dalla procura che, se dimostrati, porterebbero all’affermazione del reato. I giudici di legittimità ricordano che se per il reato di caporalato non è sufficiente la sola condizione di irregolarità sul territorio del cittadino straniero, unita alla situazione di disagio e all’esigenza di un’occupazione, ci sono anche altri elementi da considerare.

Quando scatta il reato
Il caporalato c’è in presenza di una condizione di eclatante pregiudizio e soggezione del lavoratore «resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro o da violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti condizioni di lavoro e di alloggio». E per la Cassazione sembra questo il quadro. L’ordinanza è annullata con rinvio per un nuovo giudizio.

Per approfondire:

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