Il ritratto

Caravelli al vertice dell’Aise, un generale mite e informatissimo

Il vicedirettore vicario del servizio esterno prende il testimone da Luciano Carta che dal 20 maggio assumerà l’incarico di presidente di Leonardo

di Marco Ludovico

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

La nomina di un capo dei servizi segreti legata all’accordo su un provvedimento economico. Mai accaduto prima, eppure stavolta è così: a ridosso del Consiglio dei ministri più volte rinviato per il varo del decreto rilancio il presidente del Consiglio ha riunito il Cisr (comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica).

Giuseppe Conte deve «sentire» il comitato dei ministri, dice la legge n. 124 del 2007 sul sistema intelligence. Poi ha informato il presidente del Copasir, Raffaele Volpi. E ha firmato il decreto di nomina del nuovo direttore dell’Aise. Il nome era già scritto: Gianni Caravelli.

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Il passaggio di consegne con Carta
Abruzzese di Chieti, 59 anni, il generale di corpo d’armata dell’Esercito Gianni Caravelli, specialità artiglieria contraerea, era vicedirettore vicario dell’Aise. In questa veste il 12 maggio ha preso le consegne - procedura molto delicata e complessa in un servizio segreto - da Luciano Carta destinato dal 20 maggio al ruolo di presidente di Leonardo spa.
La sua nomina al posto di Carta non è mai stata in discussione. Anzi, Caravelli ha dovuto moltiplicare la sua scaramanzia. Viste le decine di sms già inviati da giorni di amici e conoscenti nonostante l’assenza di ufficialità.

L’Esercito nel cuore, l’intelligence nel sangue
Caravelli è un ufficiale di razza, tra i primi del 161° corso «Esempio» dell’Accademia militare di Modena. Tra i suoi colleghi di corso, altri tre generali a tre stelle oggi ai vertici: Nicola Tota, al comando delle Forze operative terrestri di supporto; Luciano Portolano, numero uno del Coi -comando operativo di vertice interforze; Giovanni Fungo, sottocapo allo Sme-stato maggiore Esercito guidato da Salvatore Farina.

Quando nel 2001 alla direzione del Sismi (poi Aise) arriva dalla Guardia di Finanza Nicolò Pollari, il giovane Caravelli approda dallo Sme alla Dimo, la divisione intelligence moduli operativi del servizio segreto militare. Deve proteggere i nostri contingenti all’estero. Applica da subito le conoscenze di artiglieria contraerea, intelligence e tecnologia innovativa. Nei teatri più difficili: Kabul, Afghanistan. E l’Irak.

La guida al Ris, il rientro da numero due
Ma con il successore di Pollari, l’ammiraglio Bruno Branciforte, non c’è idillio. Anzi. Così Caravelli rientra al Ris-reparto informazioni e sicurezza dello Stato maggiore Difesa. Non è più nel comparto intelligence. Ma fa l’intelligence per le Forze armate.

Il ritorno a Forte Braschi, sede dell’Aise, è questione di mesi. Accade il 25 luglio 2014, direttore Alberto Manenti, presidente del Consiglio Matteo Renzi. Era uscito direttore di divisione, rientra vicedirettore. Incarico, al termine dei quattro anni, rinnovato. Poi, nella corsa alla sostituzione di Manenti, vince Luciano Carta, anche lui vice all’Aise.

Mite e prudente, il più informato
Tra le qualità di un ufficiale c’è la capacità di attendere. Caravelli ha i tratti di carattere netti di ogni abruzzese. Testardo e tenace. Scontroso solo in apparenza, molto riservato. Prudente, accorto. Grande lavoratore, dice un suo amico: «Ama le persone lineari come lui». Sottolinea un dirigente dei servizi in pensione: «Bravissimo nella raccolta, l’analisi e lo sviluppo delle informazioni».

La stima non trova eccezioni, l’aggettivo più ricorrente è «istituzionale al massimo livello». Apprezzato da Claudio Graziano, al vertice del Comitato militare dell’Unione Europea. E da Rolando Mosca Moschini, segretario del Consiglio Supremo di Difesa al Quirinale. Esigente e rigoroso ma inclusivo e cordiale sul lavoro, ha appena riportato a casa con i suoi agenti Silvia Romano. Ma non è l’unica prodezza recente.

Il volo per portare Haftar a Palermo
Tutti ricordano ansie e incertezze drammatiche per la conferenza sulla Libia a Palermo il 12 e 13 novembre 2018. Voluta a tutti i costi da Giuseppe Conte, stava per fallire: il generale Khalifa Haftar aveva deciso di non arrivare più. Il sangue gelò tra i massimi dirigenti dello Stato sul posto come il capo del cerimoniale di palazzo Chigi, Gerardo Capozza, il segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, Manenti e Caravelli.

Ma poi Capozza fu il primo a chiederlo con foga e tutti all’unisono decisero: andiamo a prendere Haftar a Tobruk. Un tentativo quasi disperato, l’ultima possibilità prima del disastro. L’attesa a Palermo era febbrile, da togliere il fiato. Caravelli salì di corsa sull’aereo di Stato e partì direzione Libia. In poche ore riuscì a portare il generale libico alla conferenza di Palermo.

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