Carciofi, Italia leader mondiale ma gli acquisti calano: spazio ai prodotti già pronti
Comprati in prevalenza da over 55 nel Centrosud, mentre al Nord sono preferiti quelli surgelati. I produttori, per agevolare il consumo specie tra i più giovani, studiano confezioni con carciofi già puliti e cotti, da mangiare subito
di Manuela Soressi
3' di lettura
Il violetto di Sant’Erasmo e il bianco di Pertosa, il moretto di Brisighella e lo spinoso di Sardegna: decisamente, quando si tratta di carciofi, l’Italia ne fa di tutti i tipi e di tutti i colori. Del resto manteniamo la leadership mondiale, con un quarto del raccolto totale (148mila tonnellate nel 2021), nonostante la crescita dei due maggiori concorrenti, Egitto e Spagna, e le insidie dei paesi emergenti del nord Africa.
Quantità a parte, l’Italia viene riconosciuta la patria di quest’ortaggio anche per la grande biodiversità (espressa da centinaia di ecotipi e da quattro carciofi Igp), il forte legame con il territorio e l'ampio uso che se ne fa nella cucina tradizionale e nella farmacopea popolare. Ma il presente di quest'ortaggio in Italia non è all'altezza della sua lunga e nobile storia. «I consumi sono in calo da tempo così come il numero delle famiglie che li acquista (38% del totale) – afferma Claudio Scalise, managing partner di Sg Marketing – Inoltre i carciofi freschi sono consumati soprattutto dagli over 55enni e dai residenti nelle regioni del Centrosud, mentre al Nord si preferiscono quelli surgelati o trasformati».
C’è, dunque, una grande fetta di italiani da riconquistare al prodotto fresco e da “acculturare”, vista la scarsa conoscenza delle ottime caratteristiche di quest’ortaggio, che ha poche calorie e una grande versatilità gastronomica, oltre a un forte legame con il territorio. «Tutte caratteristiche che rispondono ai trend di consumo più attuali e che andrebbero raccontate ai consumatori con una campagna istituzionale – aggiunge Scalise– E che servirebbe esportare anche sui mercati esteri più importanti per l’ortofrutta italiana, come la Scandinavia o la Germania, dove il nostro carciofo è praticamente sconosciuto».
Ma comunicare quanto è buono e benefico il carciofo non basta. Occorre anche superare la sua principale criticità, ossia la difficoltà nel pulirlo e prepararlo, per arrivare a proporlo già pronto da gustare e a maggior durata. Su questo fronte stanno lavorando i ricercatori delle università di diversi Paesi, arrivati in Puglia per il simposio internazionale del carciofo.
«Stiamo lavorando per ottenere prodotti di quinta gamma (ossia cotto e pronto da mangiare, ndr) molto più simili ai carciofi freschi in termini di caratteristiche organolettiche e consistenza, e con una minore acidità rispetto a quelli già in commercio», spiega Maria Luisa Amodio, docente di macchine e impianti per l’industria alimentare all’Università di Foggia. Una sfida non semplice considerato che il carciofo, viste le tante varietà e la lunga stagionalità, è ben lontano da una standardizzazione di prodotto e risponde in modo molto diverso ai trattamenti.
Comunque, già dalla prossima annata potrebbero arrivare nella grande distribuzione i carciofi di quarta gamma (puliti ma crudi) con sette giorni di shelf-life. Le tecnologie sono ormai pronte. Ma bisognerà vedere come risponderanno i produttori, impegnati in un difficile momento di mercato.
C'è anche, però, chi sta già investendo. Come Violì, il progetto di filiera italiana avviato da quattro importanti aziende per dare un brand ai carciofi tradizionali, provenienti dai territori vocati e tracciati dal campo alla tavola, connotandoli come un'eccellenza. «Violi offre i carciofi tradizionali e le porta nel retail freschi per nove mesi l'anno» commenta Vito Cifarelli, sales & marketing director di Cericola, azienda partner del progetto, arrivato a oltre 16 milioni di capolini lavorati all'anno.
A puntare sui carciofi è anche Fiordelisi, azienda pugliese export oriented (68% del fatturato), che quest’anno raddoppierà i volumi lavorati per far fronte alle richieste delle industrie di trasformazione e delle private label. E siccome nella produzione dei cuori di carciofo, gli scarti agricoli da fresco arrivano al 75% c’è chi ha pensato di trasformarli in una risorsa: una farina da usare in panificazione che dura fino a tre anni. Un brevetto con cui la friulana Circular Fiber è stata premiata come start up innovativa dalla Cna.
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