ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLo studio di Bcg

Carenza di manodopera, per l’Italia è un costo di 15 miliardi di dollari

Gli ultimi dati Unioncamere-Anpal evidenziano che quasi un lavoratore su 2 è di difficile reperimento. Per Bcg le imprese devono guardare con più attenzione al fenomeno migratorio

di Cristina Casadei

(Getty Images)

4' di lettura

La carenza di manodopera è ormai un fenomeno cronico il cui costo, date le dinamiche del mercato del lavoro, sta diventando esorbitante. Nel caso dell’Italia la cifra è di 15 miliardi, secondo quanto emerge da uno studio condotto da Bcg, in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) “Migration Matters: A Human Cause with a $20 Trillion Business Case” che indaga il fenomeno della migrazione come possibile fattore di crescita e sviluppo.

Quasi la metà delle assunzioni di difficile reperimento

Per il nostro paese, la carenza di manodopera trova conferma anche negli ultimi dati Unioncamere Anpal, ricavati attraverso il sistema informativo Excelsior: in gennaio le imprese sono alla ricerca di oltre mezzo milione di lavoratori (504mila), ma cresce la difficoltà di reperimento del personale che è passata dal 38,6% dello scorso gennaio al 45,6% di quest’anno.

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La strategia sulla migrazione

Lo studio di Bcg mette in rilievo che la migrazione può rappresentare un vantaggio competitivo prezioso se non essenziale per le aziende in Italia e nel mondo, ma «è necessario cambiare il paradigma della migrazione - spiega Johann Harnoss, partner and associate director for Innovation di Bcg -. Per le aziende, infatti, la migrazione può rappresentare un vantaggio competitivo essenziale: quello che oggi è un costo opportunità di oltre 1.000 miliardi di dollari, entro il 2050 potrebbe trasformarsi in un’opportunità da 20.000 miliardi di dollari». Di qui l’importanza per le aziende di accogliere talenti da tutto il mondo che potrebbe comportare un aumento della redditività aziendale di circa il 15% e accrescere la probabilità di fare innovazione a livello mondiale del 75%. Per riuscirci, BCG e OIM propongono al mondo delle imprese, una strategia che tiene conto di 3 principali fattori: l'attrazione dei talenti a livello globale, la capacità di implementare innovazione su scala globale e la tutela dei diritti umani.

L’immigrazione in Italia

Secondo quanto rileva Bcg, in Italia sono presenti circa 6,4 milioni di immigrati, il 10% della popolazione totale del Paese. E se attualmente più della metà della popolazione italiana è in età lavorativa (15-64 anni), entro il 2050, date le dinamiche generate dall’inverno demografico, i numeri potrebbero abbassarsi drammaticamente. Già per la fine del nuovo anno, infatti, si stima un calo della popolazione in età lavorativa di circa il 7% e al 2050 questa percentuale raggiungerà ben il -28%. Considerato che la carenza di manodopera costa all’Italia intorno ai 15 miliardi di dollari ogni anno (2022), i talenti provenienti da altri Paesi possono rivelarsi una risorsa preziosa anche per l'economia del Paese.

Il quadro internazionale

Più di 280 milioni di persone - il 3,6% della popolazione mondiale - vivono in Paesi diversi da quello in cui sono nati. La destinazione principale, negli ultimi 50 anni, sono stati gli Stati Uniti: nel 2020 hanno ospitato più di 50 milioni di immigrati, seguiti dalla Germania (16 milioni) e dall’Arabia Saudita (13 milioni). Di questi, circa 169 milioni erano lavoratori, di cui 70 milioni donne. Secondo un’altra indagine condotta da Bcg ( When innovation has no borders, culture is key), tra gli amministratori delegati di aziende in dieci Paesi nelle principali geografie del mondo, il 72% di essi ritiene che «la migrazione sia positiva per lo sviluppo del Paese», al contrario rispetto a quanto ritenuto dal 41% dell’opinione pubblica di questi Paesi. Tuttavia, seppure il 95% dei Ceo affermi di voler creare team più diversificati a livello globale, solo il 5% adotta strategie per riuscirci e avere un impatto a lungo termine. D’altronde, le principali preoccupazioni sociali dei leader aziendali sono attualmente cinque e cioè: povertà globale, clima e sostenibilità, stabilità geopolitica, formazione e digitalizzazione. Il fenomeno della migrazione non appare quindi tra queste e questo fa sì che «nonostante l’innegabile contributo dei migranti alle economie globali, c’è ancora molto da fare per sostenere i loro diritti e sfruttare appieno il loro potenziale», interpreta Ugochi Daniels, vicedirettore generale dell’Oim. “Investire in una migrazione sicura, ordinata e dignitosa non è solo la cosa giusta da fare, ma anche la più intelligente», aggiunge.

L’impatto degli immigrati sulla produttività

Le organizzazioni con un alto numero di immigrati nei propri leadership team hanno in media una redditività superiore di circa il 15% - 2,2 punti percentuali se misurata in termini di utili al lordo di interessi e imposte di vendita, e hanno il 75% di probabilità in più di essere innovatori di livello mondiale, emerge dallo studio di Bcg. Nel 2020, ad esempio, il 28% delle 2.000 maggiori società quotate in borsa al mondo ha reso nota la cittadinanza dei propri membri del consiglio di amministrazione e del gruppo dirigente e, tra queste aziende, il 26% dei dirigenti a livello di consiglio di amministrazione proveniva da un Paese diverso da quello della sede centrale dell’azienda. La mancanza di manodopera è costata oltre 1.300 miliardi di dollari nel 2022 a livello globale, raggiungendo il suo massimo storico a metà del 2022. Stati Uniti, Cina, Germania, Regno Unito e Canada i più colpiti con un costo di 1.300 miliardi di dollari all’anno. Esaminando le 30 maggiori economie mondiali però, Bcg ha rilevato 30 milioni di posti di lavoro scoperti. Per risolvere il problema saranno quindi necessari salari più alti, automazione, istruzione e riqualificazione. Ma l’insieme dei fattori che si stanno verificando fa dire che le aziende dovranno prendere in considerazione anche la migrazione.


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