Cari europeisti, servono visioni non steccati
di Sergio Fabbrini
4' di lettura
Mentre il sovranismo è in ascesa, l’europeismo è in declino. Alla sfida sovranista, l’europeismo ha finora risposto con il realismo delle cose che l’Ue ha fatto. Tuttavia, non si conquistano le menti e i cuori dei cittadini proponendo un’Europa che fa quello che può. Se vuole avere un futuro, l’europeismo deve definire la sua prospettiva, chiarendo quale Europa vuole costruire. Ma ciò lo obbliga a fare i conti con i suoi punti di debolezza e non solo di forza. Vediamo meglio. Storicamente, l’europeismo si è connotato per l’aspirazione a costruire gli Stati Uniti d’Europa, intendendo questi ultimi come la forma istituzionale capace di chiudere la vicenda che aveva condotto a due guerre civili europee trasformatesi in conflitti mondiali. Tuttavia, quell’aspirazione è stata piegata da un pregiudizio statalista.
Ovvero dall’idea che lo stato costituisce la forma naturale della sovranità politica. Si è finito così per pensare che fosse necessario creare uno stato federale, seppure articolato in unità territoriali nazionali, per dare sostanza alla nuova sovranità. Per l’europeismo, la costruzione del mercato unico ha rappresentato la via per giungere ad una comunità politica che superasse gli stati nazionali. Mercato e politica erano destinati a sovrapporsi sul piano sovranazionale, esattamente come si erano sovrapposti sul piano nazionale. Dando così vita agli Stati Uniti d’Europa, obiettivo ritenuto condiviso da tutti gli stati europei. Così però non è avvenuto. Non solamente gli stati nazionali si sono dimostrati più resilienti di quanto prevedesse l’europeismo. Ma le crisi multiple dell’ultimo decennio (e la Brexit) hanno anche mostrato che essi perseguono prospettive integrazioniste diverse. Incapace di leggere la realtà, l’europeismo statalista si è così condannato all’irrilevanza.
Questo bias statalista ha continuato ad accompagnare le due principali visioni europeiste, quella parlamentarista e quella intergovernativa. La visione parlamentarista è l’esito di un approccio funzionalista che è all’origine del processo di integrazione. Come recita la Dichiarazione di Schuman del 9 maggio 1950, «l’Europa non verrà fatta tutta in una volta... ma attraverso il raggiungimento di obiettivi concreti». Secondo questa visione, le crisi e la loro soluzione conducono inevitabilmente verso l’integrazione sovranazionale, la cui democratizzazione dovrà condurre ad una sovranità europea rappresentata dal Parlamento europeo. Di qui, la battaglia per collegare il governo europeo (la Commissione) all’esito delle elezioni di quest’ultimo, come si è cercato di fare con la strategia dello spitzenkandidat (adottata nelle elezioni parlamentari europee del 2014 e probabilmente riproposta in quelle del prossimo 2019). Questa visione (sostenuta tra gli altri da Jean-Claude Juncker) ha consentito di rafforzare il ruolo co-decisionale del Parlamento europeo. Tuttavia ciò è avvenuto nelle politiche regolative del mercato unico, mentre quel ruolo è stato contrastato dagli stati nelle politiche tradizionalmente vicine alla loro sovranità. Dopo tutto, la centralizzazione parlamentare del potere decisionale implicherebbe necessariamente un ridimensionamento del ruolo degli stati europei e dei loro governi, come se questi ultimi fossero dei Länder tedeschi o delle Province canadesi. Una debolezza analoga, seppure di segno rovesciato, connota anche la visione intergovernativa. Qui la sovranità europea è rappresentata dall’istituzione che rappresenta i governi nazionali, cioè dal Consiglio europeo. Le cui deliberazioni si debbono svolgere all’interno di un sistema altamente strutturato di regole amministrative e giudiziarie, come avviene nella governance dell’Eurozona. Questa visione (sostenuta tra gli altri da Wolfgang Schäuble) vuole portare i governi nazionali al centro della decisione europea, così eliminendo la distinzione tra politica nazionale ed europea. Con l'esito di dare vita ad una centralizzazione intergovernativa senza democrazia politica. Insomma, mentre l’europeismo intergovernativo esalta l’unione di stati, ma trascura l’unione dei cittadini, l’opposto viene fatto dall'europeismo parlamentarista.
L’europeismo si è indebolito perché è rimasto prigioniero di un pregiudizio ideologico e di visioni politiche unilaterali. È un pregiudizio assumere che tutti gli stati europei tendano a perseguire lo stesso fine. In realtà, alcuni rivendicano solamente l’integrazione economica (i Paesi esterni all’Eurozona e taluni di quest’ultima), mentre altri hanno bisogno di un’integrazione politica (i Paesi dell’Eurozona continentale e occidentale). L’europeismo deve risolvere il puzzle di come far convivere un mercato unico inclusivo (e allargato) con un’unione politica esclusiva (e ristretta) operante al suo interno. Un’unione politica che non deve essere confusa con uno stato federale, parlamentare o intergovernativo che sia. È possibile dividere la sovranità attraverso un sistema di separazione multipla dei poteri. L’europeismo deve elaborare un nuovo paradigma politico, ricorrendo al federalismo come al metodo con cui costruire un’unione sovrana di stati sovrani. Ciò significa che gli europeisti debbono dire con precisione le politiche in cui l’una e gli altri hanno il potere dell'ultima parola. Di fronte alla sfida sovranista, procedere con la veduta corta, per dirla con Tommaso Padoa Schioppa, significa arrendersi senza combattere. Come ha ben capito Emmanuel Macron.
In conclusione, se gli europeisti vogliono arrivare alle elezioni del prossimo maggio con possibilità di successo, debbono mettere in discussione il loro paradigma e le loro visioni. È certamente necessario ricordare ai cittadini i successi dell’integrazione, ma ciò non basta per conquistare il consenso dei più giovani tra di loro. Occorre superare i vecchi steccati che dividono le forze europeiste, dare vita a governi ombra là dove i sovranisti sono al potere (come in Italia), avanzare programmi concreti ma collegati ad una chiara visione dell’Europa che si vuole costruire. In politica, la forza degli uni (i sovranisti) è spesso dovuta alla debolezza degli altri (gli europeisti).
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