AnalisiL'analisi si basa sulla cronaca e sfrutta l'esperienza e la competenza dell'autore per spiegare i fatti, a volte interpretando e traendo conclusioni. Scopri di piùL’AUDIZIONE

Carige, Bankitalia: il bail-in non basta, l’esperienza Usa insegna

di Rossella Bocciarelli

Il vicedirettore generale di Banca d’Italia Fabio Panetta è intervenuto in audizione davanti alle commissioni Finanze riunite di Camera e Senato sul tema banca Carige (foto Ansa)

2' di lettura

Carige ha una serie di punti di forza e non è affatto velleitario cercare per l’istituto un partner commerciale. Il vicedirettore generale di Banca d’Italia Fabio Panetta ha battuto a lungo, nella sua audizione alla Camera, sul fatto che il rafforzamento della banca ligure vada perseguito innanzitutto mediante strumenti di mercato. E che la scelta di prevedere l’eventualità di una ricapitalizzazione precauzionale della banca debba essere vista solo come l’extrema ratio, necessaria per tutelare la stabilità finanziaria in ogni evenienza ed evitare una possibile crisi di fiducia, con ripercussioni negative sul corretto funzionamento del sistema del credito.

La banca è solvibile, ha spiegato; ha una capitalizzazione che potrebbe risultare molto più forte, determinando un assorbimento patrimoniale molto minore, se si passasse dai criteri standard di valutazione degli impieghi all’uso dei modelli interni; dispone di un forte radicamento territoriale in tre regioni. Sono tutti elementi che conducono a ritenere che un’operazione di aggregazione era e rimane la soluzione più adeguata anche allo scopo di salvaguardare i depositanti e le famiglie. Il caso Carige è dunque un caso specifico, nel quale a far precipitare la situazione hanno contribuito, da ultimo, le continue dispute fra azionisti e manager.

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Se la litigiosità non avesse impedito di usare i fondi che le altre aziende di credito avevano messo a disposizione con un intervento mutualistico attraverso il prestito subordinato da 320 milioni, l’aumento di capitale da 400 milioni il 22 dicembre sarebbe andato in porto e non sarebbe stato necessario alcun intervento legislativo.

Da Bankitalia, dunque, non può che venire un plauso per un provvedimento che ha permesso di risolvere in modo tempestivo la crisi. L’azione è stata la più rapida possibile, sempre tenendo a mente che il nuovo contesto europeo preclude di usare strade più veloci che potevano essere utilizzate in passato per gestire le crisi e che sono tuttora largamente usate negli Sati Uniti.

Non è un caso che Panetta abbia citato l’azione della Federal Deposit Insurance Corporation, che ha gestito 500 fallimenti bancari tra il 2008 e il 2013 attraverso lo strumento della cessione di attività e passività (e ancora oggi ha in gestione 290 banche) mentre solo nel 5 per cento dei casi si è proceduto alla liquidazione delle banche con rimborso dei depositi.

Negli States, insomma, si usa l’intervento pubblico non per regalare soldi ma per guadagnare tempo e non far precipitare il valore degli asset bancari. In questa logica la nuova regolamentazione europea sul bail-in finisce per sembrare, più che una scelta attentamente meditata «una reazione rabbiosa dopo la crisi finanziaria globale» nella quale altri paesi - non il nostro - avevano sborsato risorse pari a parecchi punti di Pil per salvare le banche. Una reazione che ha finito con il rendere assai complessa la gestione delle crisi delle aziende di credito, pur partendo partendo dall'idea giusta che i loro costi non debbano essere accollati al contribuente.

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