Carige, alla caccia del quorum del 20%. Tre scenari per l’assemblea
Liquidazione, nuova assemblea o via all'aumento di capitale da 700 milioni. Decisivi i Malacalza, che restano in bilico, ma anche la platea dei soci retail
di Luca Davi
3' di lettura
Si decide nei prossimi dieci giorni il destino di Carige. Il 20 settembre i soci della banca ligure si riuniranno a Genova per avallare (o meno) il rafforzamento da 900 milioni (700 di aumento di capitale, 200 di un bond subordinato Tier2) chiesto dalla Banca centrale europea. E da qua ad allora i colloqui informali tra i Commissari straordinari, i principali azionisti e i protagonisti dell’aumento (il Fondo interbancario e Cassa Centrale) non mancheranno.
Ma quali sono gli scenari a cui va incontro la banca? E quali sono gli assetti azionari che potrebbero emergere a valle dell’aumento? Sono tre le principali combinazioni che si possono immaginare. E a farle scaturire sarà il raggiungimento o meno dell’asticella del 20 per cento del capitale della banca, ovvero il quorum costitutivo dell’assemblea.
Scenario uno: il mancato quorum in assemblea
Se non si raggiungesse questo limite minimo di partecipazione, per la banca si aprirebbero scenari carichi di incognite, tra cui spicca per criticità il rischio liquidazione. A dirlo, del resto, sono stati gli stessi commissari, Fabio Innocenzi, Raffaele Lener e Pietro Modiano. Che, nella relazione depositata in vista dell’assemblea hanno, hanno detto che in assenza del rafforzamento la banca si troverà in una situazione di crisi, con la conseguente sottoposizione della stessa a misure straordinarie, che «potrebbero determinare la liquidazione coatta amministrativa» o, in alternativa, la ricapitalizzazione precauzionale «qualora ne sussistano i presupposti».
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È questo il motivo per cui il mercato guarda con attenzione alle mosse di Malacalza Investimenti, oggi primo socio con il 27,6% del capitale. Una sua presenza in assemblea renderebbe automaticamente valida l’assise, sebbene serva un voto positivo perchè l’operazione diventi realtà. Ed è sempre per questo motivo che la banca si è attivata per promuovere una sollecitazione di deleghe di voto tra i piccoli soci, che valgono circa il 40% dell’intero capitale della banca. Per incentivare la presenza dei piccoli soci, inoltre, è prevista l’assegnazione di 10 milioni di euro in azioni gratuite agli azionisti che prenderanno parte fisicamente o per delega all’assemblea, indipendentemente dal loro voto. Chi è al lavoro sul dossier è ottimista: secondo diversi osservatori il raggiungiumento del quorum è un risultato a portata di mano, tanto che rumors di mercato parlano di manovre per coagulare un 20-25% del capitale a prescindere da Malacalza, la cui presenza invece è al momento incerta.
Scenario due: l’assemblea boccia l’aumento
Il superamento del quorum, benchè una buona notizia, non è di per sè garanzia del buon esito dell’operazione. Affinchè il rafforzamento decolli occorre che i due terzi del capitale presente in assemblea voti a favore. Da qua il ruolo decisivo di Malacalza: se la famiglia votasse no, o si astenesse (mossa che vale come voto contrario), per la banca si prospetterebbe nuovamente l’ipotesi del rischio liquidazione. In verità non è da escludere neppure a livello teorico che, a fronte di uno scenario simile, la Bce decida di riconvocare l’assemblea, ma questa volta sterilizzando i voti del primo azionista.
Scenario tre: sì al rafforzamento, Carige è salva
È lo scenario più positivo. L’assemblea si costituisce validamente, e vota favorevolmente per l’operazione. L’aumento a quel punto può partire, realisticamente all’inizio del 2020. Per la banca ligure si prospetta un cambio strutturale della mappa societaria. Complice l’iperdiluizione, la partecipazione dei Malacalza (e degli altri grandi e piccoli soci) è destinata a ridimensionarsi drasticamente. Ipotizzando, come caso estremo, la mancata adesione all’aumento, i Malacalza vedrebbero assottigliare la loro quota dall’attuale 27,6% al 2%. Stesso discorso per gli altri grandi e piccoli soci. Oggi tutto il mercato (escluso Malacalza) vale circa il 72,4% di Carige: post aumento e senza adesione, questa quota si attesterebbe al 6,4%. A far la parte del leone, invece, sarebbero il Fondo interbancario e lo Schema Volontario che si troverebbero in mano l’80,7% della banca. Di peso la quota del partner industriale Ccb, che con 63 milioni avrebbe l’8,1% di Carige, ma con la prospettiva poi di comprare nel giro di due anni la quota del Fitd-Sv.
Qualora decidessero di sborsare nuovo capitale - aderendo integralmente per la quota di competenza - i Malacalza si ridurrebbero al 5,7% (con un esborso di 23 milioni), mentre il resto del mercato scenderebbe al 16,4%, con il Fitd al 69,8%. Da qualunque parte la si guardi, il pallino di Carige è destinato a finire in mano al Fondo interbancario, ovvero la totalità del sistema bancario, e in prospettiva ai trentini di Cassa Centrale.
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