Carige, gli «hidalgos» battono i «peones». Ora piano stand alone
di Alessandro Graziani
2' di lettura
Nella sfida per il controllo di Banca Carige, hanno vinto gli «hidalgos» della famiglia Malacalza contro i «peones» capeggiati da Raffaele Mincione. Cosa cambia per l’istituto genovese e per il sistema bancario? Nell'immediato, scompare dall’orizzonte il progetto di fusione in tempi rapidi con BancoBpm caldeggiato da Mincione. E avanza il progetto di una Carige autonoma per almeno due anni, come richiesto dai Malacalza, con la conseguenza di un probabile aumento di capitale da realizzarsi in tempi stretti per recuperare i deficit di capitale evidenziati da Bce e recuperare in extremis la possibile bocciatura agli stress test della Vigilanza europea che saranno resi noti a inizio novembre.
Il tesoro di Carige, che ha scatenato una imprevedibile contesa tra azionisti, resta un mistero confinato nel monte-crediti concesso a destra e a manca nell’era Berneschi e ancora in parte in portafoglio della banca. Sconfitti gli avventurieri Mincione-Volpi legati al vecchio centrodestra e in parte al nuovismo dei 5stelle, si vedrà se e quanto i «democrat milanesi» della lista vincente (Modiano, Balzani, Reichlin, Bragantini) avranno la forza di fare gli interessi della banca, intesa come azionisti e clienti, svincolandosi da quelli dell’azionista di maggioranza che finora ha agito da padre padrone. A un manager di provata esperienza come Fabio Innocenzi, che a breve lascerà la guida di Ubs Italia, spettera il compito di gestire l’istituto in autonomia. Il mandato forse più improbo spetterà a Pietro Modiano, neopresidente di Carige e banchiere di lungo corso ma ancora pieno di entusiasmi giovanili, che nel ruolo di presidente dovrà mediare tra le istanze dell’azionista di controllo, dei vari stakeholder e della Vigilanza italiana ed europea.
In ambienti finanziari, ieri sera, c’era chi ipotizzava che il futuro percorso della nuova Carige legata a un mondo vicino a quel che resta della sinistra milanese possa portare in futuro a un’aggregazione con Mps, diluendo la presenza dello Stato e portando in dote al Monte circa un miliardo di capitale originato dalle perdite pregresse della banca genovese. Per ora, è pura fantafinanza. La priorità, se non l’urgenza, è piuttosto quella di rimettere in carreggiata la banca che da mesi naviga nell’incertezza. Serve una prospettiva di crescita per i fragili ricavi ma, soprattutto, c’è bisogno di dare certezze al milione di clienti depositanti che tutti i contendenti, in campagna elettorale assembleare, hanno citato come la risorsa principale della banca. Finita la bagarre in vista dell’assemblea, è questa la vera priorità di Carige.
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