PRODuZIONE DI NICCHIA

Carnaroli calabrese: investimento da un milione di euro per la prima riseria

Nella Piana di Sibari si coltivano 650 ettari di riso. I produttori hanno avviato il progetto per un primo impianto di lavorazione necessario alla filiera

di Alessandra Tibollo

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3' di lettura

“Siamo lo zero virgola”. Una nicchia nel panorama del riso nazionale, ammette Matteo Perciaccante, che con la sua famiglia è proprietario di Masseria Fornara, una delle aziende più rappresentative della produzione del riso nella Piana di Sibari. Nessun paragone, quindi, con le produzioni del vercellese o della Pianura Padana: qui i numeri contano una decina di produttori e circa 650 ettari di coltivazioni. Eppure il riso calabrese sogna in grande, puntando tutto sulla qualità. Vuole da un lato chiudere la filiera nella piana di Sibari e dall'altro vuole uscire dai confini della Calabria per aggredire il mercato dell'export, grazie alla desiderata certificazione Igp, ben vista all'estero dove è considerata un'attestazione di qualità del prodotto.

Le condizioni climatiche ideali del territorio

La storia del riso nel Sud Italia inizia da molto lontano: studi recenti hanno dimostrato che la diffusione in Italia di questo cereale partì proprio da Sicilia e Calabria. Non si sa se per mano dei greci o degli arabi. Tuttavia, il clima troppo caldo e gli alti costi di manodopera prima dell'automatizzazione allontanarono questa produzione, portandola al Nord. Fino ai primi anni Ottanta. Era il 1982 quando il capostipite dei Perciaccante, Pietro, iniziò a coltivare riso nella Piana di Sibari e vinse la scommessa, riqualificando terreni apparentemente di scarsa qualità, ma in realtà con caratteristiche pedoclimatiche perfette. Terreno argilloso, sottosuolo salmastro, ventilazione costante. Sono gli elementi che rendono questi terreni ideali per il riso. Da un lato il massiccio del Pollino, che garantisce acqua di sorgente in abbondanza e vento, dall'altro il mare, a un solo chilometro in linea d'aria. “La combinazione del vento costante e del sale che purifica l'acqua minimizza il rischio di infestazioni da funghi”.

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La produzione nella piana di Sibari e la lavorazione a Codigoro

All'inizio i Perciaccante partirono con riso da industria, specialmente originario, da conferire alle aziende più famose. Una volta visto che l'esperimento funzionava, sono passati al riso da seme puntando soprattutto sul carnaroli, che oggi conta oltre il 60% della produzione. Alla fine i Perciaccante, come altri produttori di riso calabrese, hanno iniziato a produrre con un loro marchio. Quello di Masseria Fornara, che unisce altri tre produttori oltre ai Perciaccante, conta un 60% di riso carnaroli, mentre il restante 40% si distribuisce fra le altre tipologie, fra cui l'arborio, l'originario, l'aromatico o Gange e il nero (di quest'ultimo per ora solo distribuzione per una questione di royalties).La falla del sistema, se così si può chiamare, è l'assenza di un impianto di lavorazione nel Sud Italia, tanto che i Perciaccante, come i loro competitor, si rivolgono alle riserie del Nord, con uno spreco di energia notevole, sia in termini di denaro che di benzina per il trasporto. “Una volta raccolto, mandiamo il riso a Codigoro, in provincia di Ferrara, da cui torna pronto sottovuoto. Noi poi lo inscatoliamo a mano, per una scelta voluta di ulteriore controllo prima della vendita”, afferma Perciaccante.

Il progetto da un milione di euro per la prima riseria
del Sud Italia

La soluzione c'è già, con un progetto già depositato in regione per realizzare la prima riseria del Sud Italia, nella piana di Sibari: un investimento da un milione di euro, con ricadute economiche importanti, secondo il risicoltore calabrese. “Nuovi posti di lavoro, un abbassamento dei costi di produzione nonché una spinta per la nostra istanza già presentata di ottenimento dell'Igp, grazie al fatto che chiuderemo la filiera tutta nella zona di Cassano allo Jonio, che è il comune di riferimento della piana di Sibari”. Più nel lungo periodo, prevede Perciaccante, l'ottenimento dell'Igp aiuterebbe nella vendita del riso calabrese oltre i confini regionali e aumenterebbe l'appeal di questa coltivazione nell'area. Inoltre, aggiunge il risicoltore, “un impianto qui in Calabria ci consentirebbe di ampliare il business e lanciarci su altri mercati promettenti e ben remunerativi come quelli dei mix di cereali”.

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