Carne dannosa e allevamenti inquinanti? È bufera sulle dichiarazioni del ministro Cingolani
Produttori e associazioni di categoria difendono il settore, tra i meno impattanti a livello mondiale, dopo le dichiarazioni del ministro per la Transizione ecologica contro l’agricoltura intensiva
di Giorgio dell'Orefice
4' di lettura
È bufera nel settore delle carni per le recenti dichiarazioni del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Lo scienziato al vertice del nuovo dicastero che avrà un ruolo chiave nella gestione delle risorse del Recovery Plan è intervenuto nei giorni scorsi alla “Conferenza preparatoria della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile”. E nel proprio intervento non ha risparmiato critiche all'universo della zootecnia e in particolare alle diete basate sul consumo di carne.
«L’agricoltura intensiva pone problemi – ha spiegato Cingolani –: ci ha consentito di vivere più a lungo ma ha comportato una notevole alterazione dell'ecosistema. La soluzione non è fermare il progresso, ma neppure fare quello che si vuole».
«Sappiamo – ha aggiunto Cingolani – che chi mangia troppa carne subisce degli impatti sulla salute, allora si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali. D’altro canto, la proteina animale richiede sei volte l'acqua della proteina vegetale, a parità di quantità, e allevamenti intensivi producono il 20% della CO2 emessa a livello globale. Modificando la nostra dieta, avremo invece un co-beneficio: miglioreremmo la salute pubblica, riducendo al tempo stesso l'uso di acqua e la produzione di CO2».
Dichiarazioni che hanno rapidamente innalzato un polverone di polemiche soprattutto nella filiera delle carni italiane a giudizio di molti evocata ingiustamente e altrettanto ingiustamente assimilata ad altri modelli zootecnici.
«Il ministro Cingolani – ha detto il consigliere delegato di Filiera Italia e che è anche presidente di Assocarni, Luigi Scordamaglia – anche per il suo importante contributo dato al precision farming ed all'utilizzo dei big data in agricoltura sa bene che il modello agroalimentare italiano è profondamente diverso da quello massificato di altri Paesi e che l'agricoltura e l'allevamento italiano sono tra i più sostenibili al mondo rappresentando una soluzione e non un problema rispetto alle sfide da lui sollevate». Scordamaglia a sostegno delle proprie tesi ha snocciolato alcuni numeri. «Secondo i dati Fao, produrre un kg di carne bovina in Italia – ha aggiunto – comporta appena un quinto delle emissioni di Co2 rispetto allo stesso Kg di carne prodotto in Asia o Usa. E anche la quantità di acqua necessaria per produrre lo stesso kg di carne in Italia è pari a 1/20 di quella usata in altri Paesi. Senza dimenticare che la zootecnia in Italia incide inoltre per appena il 5,6% delle emissioni (report Ispra), contro livelli globali ben più alti. Tutte informazioni che il ministro Cingolani ben conosce e che saremo felici di approfondire illustrando gli ulteriori progetti di modernizzazione delle filiere agroalimentari italiane finalizzate a renderle sempre più modello globale di riferimento».
«Le prime affermazioni del ministro della Transizione ecologica – ha commentato Giuseppe Pulina, Ordinario di Zootecnica Speciale presso il Dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari e presidente dell'associazione Carni Sostenibili – lasciano quantomeno sconcertati. Le affermazioni rese in veste di ministro della Repubblica non possono basarsi su pregiudizi o su posizioni sposate da una parte della comunità scientifica, ma respinte da una consistente altra parte (si veda fra tutte la posizione di Accademia Georgofili). Dalle dichiarazioni del ministro emerge l’abnorme sovrastima delle emissioni di gas climalteranti da parte delle filiere intensive delle carni che, a detta dello stesso, rappresentano il 20% delle globali. La Fao stima l'incidenza di tali emissioni (riferite a tutta la zootecnia, carne, latte e uova) al 14,5% su scala globale e mentre l'Ispra le stima al 5,2% per l'Italia. Per cui il solo settore carni, escludendo latte e uova, si colloca sotto il 10% nel primo caso e sotto il 4% nel secondo. Il ministro, inoltre – ha detto ancora Pulina – dà per scontato che il consumo di carne sia nocivo, senza riflettere sul fatto che gli italiani (popolazione di cui dovrebbe occuparsi) si collocano agli ultimi posti fra i paesi sviluppati per il consumo annuale reale con 36,8 kg a testa e che uno studio del Global Burden Disease ha classificato ‘l'eccessivo' consumo di carni rosse all'ultimo posto fra i fattori alimentari di rischio di mortalità e perdita di vita utile».
Sulla stessa lunghezza d'onda anche il presidente di Unaitalia (l'associazione delle industrie del pollo e delle uova) Antonio Forlini: «Credo – ha sottolineato – che il paese abbia bisogno di unità di intenti e non di capri espiatori. Tutti abbiamo il dovere e la responsabilità di portare l’Italia fuori dall’emergenza sanitaria prima ed economica poi. Cosa che può avvenire solo se si lavora in condivisione e non in contrapposizione. Dare la colpa al settore della carne è miope. I consumi di carne sono in Italia al di sotto dei consumi pro capite medi dell'Occidente. Ed è errato dire che consumare carne fa male, sarebbe opportuno ribadire invece la necessità di una dieta equilibrata, fatta anche di consumo di carne, che possa rendere più longevi e che possa migliorare la qualità della vita. Auspichiamo sicuramente di poter lavorare con Patuanelli e con Cingolani per migliorare in ogni caso un settore che dà oggi lavoro a 80mila addetti e che non ha mai smesso di produrre per garantire approvvigionamento agli italiani, anche nei momenti più difficili e bui del Paese. Invece di criminalizzare singoli settori cerchiamo di avviare un percorso condiviso tra imprese e istituzioni perché la filiera zootecnica italiana sia sempre più green e sostenibile al passo con le esigenze del pianeta e dei consumatori».
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