Industria

Caro grano, i pastai: aziende a rischio chiusura

di Claudio Andrea Klun

5' di lettura

La fiammata del prezzo del grano e il caro energia rischiano di mettere in ginocchio i pastai piemontesi. A lanciare il grido d’allarme è Fabio Fontaneto, amministratore delegato del raviolificio Fontaneto Srl, azienda leader nel settore della pasta fresca artigianale con sede a Fontaneto d’Agogna (Novara), nonché presidente nazionale di Appafre (Associazione produttori di pasta fresca della piccola e media impresa), presidente regionale pastai di Cna agroalimentare Piemonte e membro della presidenza nazionale pastai di Cna agroalimentare. Figlio d’arte – ha imparato il mestiere direttamente dal padre Piero –, il “pastaio”, come ama definirsi, è dall’età di 14 anni che mette le “mani in pasta” e quest’anno ne compirà sessanta; una grande esperienza e conoscenza del settore, ma soprattutto una grande passione; e nel tempo libero si dedica con altrettanta passione alla maratona (con un personale di 2h53’).
«Il nostro comparto, dopo aver retto alla prima ondata della pandemia, chiudendo il 2020 agli stessi livelli del 2019, l’anno scorso ha registrato una crescita, in alcuni casi, anche a doppia cifra, fino a quando, a partire da settembre, abbiamo dovuto affrontare le conseguenze dei rincaro dei costi della semola di grano duro, che da ottobre è aumentata dell’84%. Sono aumentati i costi anche di altre materie prime impiegate nelle nostre produzioni, quali il burro, salito di quasi il 70%, il semolino di riso, che usiamo per “spolverare” i ravioli, aumentato di oltre il 40%, le uova, impiegate per la pasta all’uovo, anch’esse lievitate del 40%, la carne bovina, usata per il ripieno, aumentata del 30%». Ma non basta: si sono registrati rincari considerevoli, dal 20 al 50%, dei materiali per l’imballaggio, come vaschette, cartoni, etichette; e, non per ultimo, i bancali di legno, indispensabili per tutta la movimentazione dei prodotti alimentari, sono diventati quasi introvabili e il loro costo è salito esponenzialmente.
«Di fronte a tutti questi rincari, di quanto avremmo dovuto aumentare noi i nostri prezzi?» si domanda il presidente di Appafre, il quale poi sottolinea che, se all’origine del balzo del costo del grano vi sono fattori stagionali, come il cattivo andamento del raccolto in Canada e negli Stati Uniti, e un aumento della domanda di pasta da parte di Paesi emergenti, come India e Cina, «che spiegazione hanno, invece, altri aumenti sconsiderati, come quelli dei costi dei trasporti dei container, che sono quadruplicati?». A tutto ciò, va ad aggiungersi l’aumento del 30% dell’energia elettrica: «Ci sono tante piccole e medie aziende che rischiano di chiudere, perché non saranno in grado di sostenere i maggiori costi produttivi» ammonisce Fontaneto.
Secondo il presidente di Appafre, per far fronte alle conseguenze dei rincari delle materie prime, alla fine ai produttori di pasta fresca piemontesi non resta che mettere mano al portafoglio: «Questo autunno, alcune insegne non hanno voluto accordarci gli aumenti richiesti: normalmente, la grande distribuzione richiede un preavviso di tre-quattro mesi per rivedere i listini. Nel 2021, abbiamo avuto primi nove mesi dell’anno abbastanza nella norma; nell’ultimo trimestre, in cui di solito nel nostro settore si registra il picco annuo di lavoro, abbiamo dovuto paradossalmente sperare di lavorare poco, per non sostenere questi costi di produzione così elevati. Il 2021 siamo riusciti a chiuderlo ancora decorosamente, nonostante il mancato aggiornamento dei listini, grazie alle marginalità dei primi nove mesi. Per il 2022, prevedo che i margini, per i piccoli e medi produttori di pasta fresca, saranno più che dimezzati: qualcuno di noi è riuscito a portare a casa qualche punto di aumento, ma per arrivare alle stesse marginalità di metà dell’anno scorso, avremmo dovuto fare sui nostri listini un aumento a doppia cifra. Le nostre imprese, oltre che produrre e vendere direttamente al consumatore, consegnano nella distribuzione tradizionale, quale i negozi di prossimità, panetterie, gastronomie e nella ristorazione, dove il rapporto diretto con il proprietario facilita il dialogo e dove si riesce a spiegare le difficoltà che abbiamo a reperire le materie prime e mantenere fermi i nostri listini. Di contro, come già accennato in precedenza, la grande distribuzione ha bisogno di tempi più lunghi, che si scontrano con la necessità che abbiamo noi».
A questo punto, per i produttori di pasta piemontesi la speranza è che tornino indietro i costi delle materie prime: «La semola, già negli anni passati, aveva subito un aumento sconsiderato, ma poi era tornata a valori di normalità. Stringiamo i denti e andiamo avanti. Stiamo cercando in tutti i modi di contenere questi aumenti, ma se non li riversiamo su nostri listini, più di tanto non si può resistere, soprattutto le piccole e medie imprese, che sono sempre quelle che alla fine ne soffrono di più. E bisogna tenere conto che la maggior parte dei pastifici piemontesi, come quelli del Cuneese e Astigiano, operano prevalentemente in ambito regionale o nelle regioni limitrofe e magari non hanno la possibilità di allargare il proprio mercato in ambito nazionale ed estero».
Fontaneto mette anche in guardia che «su prodotti alimentare basilari, come la pasta secca, non si possono fare aumenti indiscriminati, che andrebbero a riversarsi su chi ha meno possibilità economiche: eppure non c’è una grande cassa di risonanza su questo argomento, come ad esempio sta avvenendo per l’aumento del caffè, molto attuale in questi giorni. Un caffè possiamo evitare di berlo, ma non possiamo fare a meno di un piatto di pasta. Dovrebbero capirlo i nostri governanti, che intanto a noi danno dei grandi problemi per poter gestire le nostre aziende».
Quella dell’aumento dei costi delle materie prime, non è l’unica sfida che i pastai piemontesi devono affrontare. Un’altra spina al fianco del loro comparto, è la difficoltà a reperire manodopera specializzata: «Quello che manca è il pastaio specializzato, che abbia la dimestichezza con macchine artigianali e che abbia la sensibilità, con un colpo d’occhio o annusando l’aria del laboratorio, di aggiungere o togliere umidità all’impasto. In realtà come la nostra, che abbina lavorazioni di tipo artigianale a un quantitativo industriale (il raviolificio Fontaneto produce 150 quintali di pasta fresca al giorno), è ancora essenziale la mano dell’uomo. Negli ultimi tempi, sono andati in pensione numerosi pastai della “vecchia guardia” e ora si fatica a trovare giovani che abbiano competenze, ma soprattutto che abbiano la voglia di innamorarsi del nostro lavoro. Per questo, come Fontaneto Srl, abbiamo fatto un accordo con VCO Formazione, che dispone già di una scuola per pasticceri, cuochi e panettieri, per creare un percorso di formazione per pastai, con una parte di corso in aula e l’altra pratica in azienda, sulle linee di produzione. L’intento è quello di estendere il progetto agli altri produttori di pasta fresca del Piemonte che intenderanno aderire».

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