Caro sindaco, ti capisco ma sbagli: lo smart working è già realtà
Tocca a Beppe Sala, come a tutti i primi cittadini della grandi città, il compito di costruire una nuova Milano che faccia i conti con il cambio di paradigma di lavoro
di Alessandro Rimassa

Tocca a Beppe Sala, come a tutti i primi cittadini della grandi città, il compito di costruire una nuova Milano che faccia i conti con il cambio di paradigma di lavoro
3' di lettura
Beppe Sala, sindaco di Milano, nelle ultime settimane ha più volte detto “Basta smart working, è ora di tornare a lavorare”, innescando un dibattito che ha finito per generare un tifo da stadio tra favorevoli e contrari.
Il punto, però, non è pensare a com'era il lavoro, e quindi le città, ieri, ma immaginare come questo debba essere domani. Anche ridisegnando il nostro modo di intendere e vivere la città.
Caro Sindaco, sbagli perché per prima cosa lo smart working è lavoro (altrimenti le nostre imprese sarebbero già fallite), e genera due enormi vantaggi: rendere più felici (e quindi produttivi) i dipendenti e più vivibili le città.
Secondo la ricerca dell'Istituto Noto, quasi un lavoratore su due dopo il lockdown lo sceglierebbe come modalità di lavoro permanente, riconoscendone i benefici sulla propria vita privata, professionale e sull'ambiente.
Complice il Coronavirus, siamo entrati in una nuova era del lavoro, da cui non torneremo indietro: nei prossimi mesi sperimenteremo tanto, non troveremo un New Normal dietro l'angolo di settembre, percorreremo strade impervie che si snoderanno attorno a termini come fiducia, trasparenza, responsabilità, accountability, obiettivi.
So bene che, leggendo queste parole, anche tu sindaco non potrai che convenire con me che a un modo di lavorare basato su questi valori non si può far altro che dire: sì, è ciò che serve sia alle persone sia alle imprese.
Ecco perché dobbiamo essere d'accordo che lo smart working sia al centro del ridisegno del lavoro e che, di conseguenza, debba portare con sé un ripensamento di tutti gli spazi urbani e del vivere la città, come pochi giorni fa ha ben raccontato il Financial Times, immaginando una città in cui tutto è raggiungibile in 15 minuti a piedi o in bicicletta.
Caro Sindaco, ti capisco perché una città senza lavoratori in movimento continuo è diversa dalla Milano che siamo abituati a vivere. Il presidente di Epam, l'associazione dei pubblici esercizi di Confcommercio, ha dichiarato che gli esercenti lamentano un calo del 70% a pranzo a causa dello smart working, per il fenomeno South Working si stima un allontanamento potenziale di centomila lavoratori.
E certo questi non sono che i primi effetti, perché immaginare che negli uffici le persone si alterneranno alla stessa scrivania significa una importante riduzione di metri quadri, e al tempo stesso anche uno spostamento di persone a vivere in comuni più piccoli e più lontani, dovendo andare in azienda magari solo due giorni a settimana. Potrebbero calare i prezzi degli immobili commerciali e privati, diverse piccole attività si troveranno a ripensare la propria offerta, alcuni servizi pubblici e privati dovranno essere completamente riprogettati.
Fa paura, perché il percorso non è definito, ma ci offre l'opportunità di ridisegnare i ritmi, gli spazi e i tempi di Milano.
Un sindaco come te, ne sono certo, avrà la voglia e la capacità di cogliere questa sfida e offrire all'Italia e all'Europa un nuovo modello di città.Te lo dico con la nettezza che sai mi contraddistingue: non polemizzare sullo smart working, dai il la a una politica per una nuova Milano, aiuta concretamente chi da questo cambiamento sarà sballottato, offri a noi cittadini una visione che, da vero milanese, saprai poi rendere concreta giorno dopo giorno.
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