Caro-spread? «Cinque motivi per cui oggi fa meno male all’Italia»
Rispetto alle crisi dello spread del passato, ci sono molte differenze che rendono l’Italia più resistente. Parola di Myles Bradshow (JP Morgan Am)
di Morya Longo
3' di lettura
«Rispetto alle crisi del passato, questa volta l’Italia può sopportare più a lungo un aumento dello spread tra BTp e Bund. Perché ha le spalle più larghe. Certo, se il differenziale tra i titoli di Stato arrivasse a 400 punti base il discorso cambierebbe, ma oggi ci sono molti motivi per dire che l’Italia è più al riparo rispetto al passato da una crisi dello spread». Myles Bradshow, Capo delle strategie globali aggregate del Reddito Fisso di JP Morgan Asset management, in un colloquio con Il Sole 24 Ore indica almeno cinque ragioni per cui l’impatto del rialzo dello spread questa volta potrebbe essere minore che in passato.
Banche più solide: minor impatto sull’economia
La prima passa per le banche. Il mercato sa che gli istituti creditizi italiani hanno oltre 400 miliardi di euro di BTp nei loro bilanci e sa che ogni rialzo dello spread va a indebolire la loro forza patrimoniale. Il problema è sempre stato questo: più lo spread dei BTp sale, più si deteriorano i coefficienti di patrimionio delle banche. E questo riduce la loro capacità di erogare credito a famiglie e imprese. Il credit crunch del 2012-2015 è stato dovuto a questo circolo vizioso banche-spread.
Ma Bradshow suggerisce più cautela rispetto al passato: «Oggi il sistema bancario italiano è molto più forte – osserva –. Proprio le crisi degli anni passati hanno costretto gli istituti di credito a rafforzare il patrimonio, per cui oggi sono sufficientemente forti per sostenere un aumento dello spread. Questo significa che il rialzo del differenziale BTp-Bund avrà un impatto minore sull’economia reale rispetto al passato».
Vita media del debito lunga
Ci sono poi altri motivi per stare – a suo avviso – più sereni. Innanzitutto il fatto che la vita media del debito pubblico italiano è molto lunga, quasi 7 anni. «Prima che l’aumento dei tassi abbia un impatto significativo sul costo del debito e sui conti pubblici servirà tempo», osserva Myles Bradshow. Per dirla semplice: dopo aver emesso titoli di Stato per anni a tassi bassi, prima che l’incremento attuale vada ad incidere sul costo dell’intero debito pubblico servirà molto tempo.
L’altro motivo per cui Bradshow mostra una certa tranquillità è legato al fatto che questa volta l’aumento dello spread non è dovuto a un motivo specifico italiano, ma a ragioni generali legate all’inflazione e alla svolta della Bce.
Lo scudo anti spread? Arriverà a tempo debito
Ed è proprio la Banca centrale, che giovedì ha deluso il mercato, l’altro motivo che rende questo rialzo dello spread diverso dai precedenti. «La Bce non ha nessuna intenzione che gli spread si allarghino troppo, perché questo va a ledere la corretta trasmissione della sua politica monetaria – osserva Bradshow –. La costruzione dello scudo anti-spread ha ovviamente difficoltà politiche, per questo la Bce è ambigua a riguardo. Non verrà dunque fatto subito, ma se l’aumento degli spread diventasse consistente la Bce interverrà». Questo nelle passate crisi non era possibile.
Il riparo del Recovery Fund: finanziamenti non di mercato
Infine c’è un punto di forza ulteriore per l’Italia: il Recovery Fund. «L’esistenza di questo strumento riduce per l’Italia la necessità di emettere BTp, perché molti fondi arrivano dall’Europa a tassi bassi o sotto forma di sovvenzioni. Questo riduce la pressione sul mercato». Insomma: oggi l’aumento dello spread preoccupa meno che nel 2012 o nel 2018. Ma non è indolore: resta il tallone d’Achille del Paese.
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