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Cartolarizzazioni Npl, ennesima occasione mancata sulla condivisione del rischio

Le indicazioni Eba rendono praticamente inutilizzabile l’accesso alla «risk retention» per i servicer. L’Italia fra i paesi più penalizzati

di Maximilian Cellino

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

Condividere il rischio delle cartolarizzazioni di sofferenze bancarie, allineando gli interessi di chi cede i crediti deteriorati con quello degli investitori, è un obiettivo chiaro da tempo per i regolatori. A maggior ragione dopo che le conseguenze della crisi subprime hanno contribuito a frenare lo sviluppo di questo mercato così vitale per un settore, come quello italiano, che non conosce rivali in ambito europeo nel campo degli Npl.

La condivisione del rischio

Non sempre però gli sforzi in questa direzione si sono rivelati efficaci, e anche l’ultimo in ordine di tempo rischia di essere vano. La questione gira infatti attorno alla risk retention, ossia l’obbligo di mantenere un’esposizione al rischio di performance della cartolarizzazione pari ad almeno il 5% per l’intera durata dell’operazione. Il regolamento Ue 2402/2017 sulle cartolarizzazioni aveva infatti previsto per cedente, prestatore originario o sponsor la sottoscrizione di una simile quota (titoli junior, oppure una porzione «verticale» dei titoli o ancora una quota su base casuale dei crediti ceduti) in modo da evitare modelli distorsivi e all’origine del crack finanziario del 2008.

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Difficile però che i primi due soggetti possano mantenere un interesse economico netto nell’operazione, perché questo potrebbe non essere in linea con gli obiettivi di deconsolidamento contabile, con il significativo trasferimento del rischio di credito del cedente o prestatore originario o con le sue esigenze operative. E altrettanto complesso è trovare uno sponsor che possa assolvere al compito, dato che l’assunzione di un rischio di credito nella cartolarizzazione comporta un significativo assorbimento di capitale regolamentare.

L’intervento dell’Eba

Una possibile soluzione era far svolgere questo delicato ruolo anche ai servicer, che gestiscono materialmente i crediti deteriorati, partecipano al rischio della performance dell’operazione e garantirebbero quindi un allineamento di interessi con gli investitori. L’Associazione bancaria europea (Eba), alla quale spetta il compito di definire le modalità per questa forma di retention, ha pubblicato lo scorso 12 aprile la bozza finale delle norme tecniche, la cui entrata in vigore è prevista nella seconda parte del 2022 non appena concluso l’iter legislativo europeo, che però destano perplessità fra gli addetti ai lavori.

«Purtroppo l’Eba non ha recepito alcune raccomandazioni avanzate da partecipanti del mercato in sede di consultazione affinché la retention da parte dei servicer potesse effettivamente funzionare», ammette Pietro Bellone, counsel di Allen Overy, sottolineando in particolare come non sia stata accolta la richiesta di consentire che, in caso di revoca o recesso, la retention potesse rimanere in capo al servicer uscente o essere trasferita al sostituto. «Questo - spiega ancora l’esperto legale - avrebbe favorito da un lato il ricorso a tale tipo di strumento, non ponendo i servicer necessariamente nella situazione di dover mantenere un rischio nell’operazione in caso di perdita del servicer, e dall’altro permesso di conseguire in certe circostanze anche un maggiore allineamento di interessi».

I dubbi degli esperti

L’impressione è che senza tale flessibilità la possibilità di effettuare la retention da parte del servicer sia di fatto poco utilizzata. «Oppure - aggiunge Bellone - che laddove si opti per tale strumento possano comunque sorgere tensioni tra servicer e investitori nella negoziazione o nell’attivazione delle clausole di estinzione anticipata del contratto di servicing che non sarebbero certo di beneficio per l’operazione». Se a tutto ciò si aggiunge poi che il corrispondente regolamento delle autorità britanniche non contiene previsioni analoghe a quello europeo, precludendo di fatto ai numerosi investitori del Regno Unito di sottoscrivere cartolarizzazioni Ue che prevedono una retention da parte del servicer, la lista dei potenziali ostacoli si arricchisce.

ITALIA AL VERTICE NELLE OPERAZIONI
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La vicenda sembra quindi assumere le sembianze di occasione perduta, non certo la prima, per rianimare le cartolarizzazioni di Npl. Un mercato che resta di fondamentale importanza per l’Italia: è in fondo dalle nostre banche che hanno avuto origine oltre il 60% delle operazioni condotte a livello europeo negli ultimi 5 anni.

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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