incontro in campidoglio

Casa delle donne, la querelle ferisce Roma. Raggi: un tavolo per «integrare» il progetto

di Manuela Perrone

'Raggi, vieni a Casa delle donne, e' anche tua'

4' di lettura

Nell’“Eva contro Eva” in versione capitolina c’è la cifra dei tempi: un immobile conteso nel cuore della Roma trasteverina, luogo simbolico dell’associazionismo femminile romano; una sindaca e tre assessore del Movimento Cinque Stelle che sfidano un consorzio di oltre trenta associazioni di donne, tra cui esponenti di primo piano del femminismo nazionale; il principio di legalità applicato quasi brutalmente dall’amministrazione, e vissuto come una coltellata piantata nel cuore di una delle realtà civiche politicamente più attive degli ultimi trent’anni. La vicenda della Casa internazionale delle donne assume per questo i tratti di uno squarcio, la rappresentazione plastica di due diritti contrapposti: da un lato quello del Comune di vedere sanato un vulnus economico in senso stretto (il consorzio risulta debitore di 855.512 euro di locazioni arretrate) e di riappropriarsi della gestione di uno spazio; dall’altro quello delle donne di veder riconosciuto il valore sociale e culturale della Casa, in larga parte impossibile da monetizzare e che dipende anche dalla sua autogestione.

Il complesso del Buon Pastore occupato nel 1987
Il complesso del Buon Pastore di via della Lungara 19 - fin dal ’600 adibito a reclusorio femminile - viene occupato nel 1987 dal gruppo di femministe sfrattate da Palazzo Nardini, a via del Governo Vecchio, lo spazio dove le attiviste si sono riunite quattro anni prima creando anche un consultorio per l’educazione sessuale. Da lì comincia una lunga trattativa con il Comune per il restauro e la consegna dell’edificio all’associazionismo femminile. Il progetto Casa internazionale delle donne viene riconosciuto nel 1992 nell’elenco delle opere di Roma Capitale, legittimato dunque a usare il patrimonio comunale. Nel 2001 l’assemblea capitolina approva la convenzione con cui dà in concessione il complesso (4.235 metri quadrati, di cui 540 scoperti) al consorzio per 12 anni, fissando il canone in 11,24 milioni di lire mensili (il 10% del canone a valore di mercato) da versarsi con cadenza trimestrale. L’accordo prevede anche che il consorzio paghi il debito per il periodo pregresso, pari a 129,55 milioni di lire compresi gli interessi, con rate mensili di 899.712 lire al mese secondo un piano di ammortamento dettagliato.

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Nel 2010 debito già a quota 282mila euro
La convenzione è stata effettivamente sottoscritta il 1° ottobre 2003. Nel 2010 una nuova delibera dell’assemblea capitolina proroga di sei anni la concessione, chiarisce che il debito corrente post 2003 (essendosi prescritto quello maturato dal 1983 al 1994) ammonta a 270.606 euro più 12.447 euro per interessi, da saldare con il versamento anticipato in un’unica soluzione di 50mila euro e con 132 rate mensili di 1.765 euro da corrispondere entro il 30 settembre 2021. «Il mancato pagamento di quanto dovuto - recita il provvedimento - verrà considerato inadempimento, con avvio del procedimento di revoca della concessione previa diffida».

La Giunta Raggi va all’attacco dall’anno scorso
Sin dal momento dell’insediamento, nel 2016, l’amministrazione M5S guidata da Virginia Raggi promette il monitoraggio del patrimonio comunale per mettere ordine nelle situazioni di morosità e illegalità. Tante. Nel 2017 anche la Casa delle donne finisce nel mirino: a giugno la Direzione Gestione del patrimonio invita il consorzio a versare quanto dovuto a titolo di debito pregresso (salito a quota 802.309 euro) e a pagare i canoni mensili, sempre pari al 10% del canone a valore di mercato. A novembre arriva la diffida, mentre il debito cresce a 833.512 euro. Le donne della Casa si sentono sotto assedio, contestano gli 833mila euro richiesti, sottolineando che ci sono almeno 400mila euro di crediti dovuti per la manutenzione dello stabile, e soprattutto chiedono al Comune di riconoscere la differenza tra stabili concessi in uso a utenti semplicemente morosi e immobili utilizzati realmente per fini sociali e culturali. Per il complesso del Buon Pastore, punto di riferimento di generazioni di donne, nessuno può negarlo.

Dalla mozione alla proposta di un tavolo
La mozione approvata dall’assemblea capitolina lo scorso 17 maggio , prima firmataria la presidente della Commissione delle elette Gemma Guerrini, tutto fa fuorché rasserenare gli animi. Perché, alla luce delle difficoltà, impegna la sindaca e la Giunta a «riallineare e a promuovere il Progetto casa internazionale della donna alle moderne esigenze dell’amministrazione capitolina e della cittadinanza». Una formula vissuta come un oltraggio da chi ha pensato e vissuto la Casa come luogo di autonomia e di ricerca culturale aperta.

'Raggi, vieni a Casa delle donne, e' anche tua'

Raggi: un tavolo per ripensare la Casa
Oggi, mentre tante donne manifestavano in piazza per nulla intimorite dalla pioggia, le attiviste in Campidoglio sono state ricevute dalla sindaca e dalle assessore a Patrimonio (Rosalba Castiglione), alla Persona e alla Comunità (Laura Baldassarre) e a Roma semplice (Flavia Marzano). Raggi su Facebook scrive: «Questa amministrazione non intende chiudere la Casa delle donne né intende procedere allo sgombero». Ma poi aggiunge che il progetto va integrato, «iniziando a ragionare sulla creazione di un sistema di servizi, che veda nell’attuale Casa il centro nevralgico delle attività che vengono messe in rete e ampliate su tutto il territorio della città, con particolare riguardo alle periferie». Un percorso che parta dalla creazione di «un tavolo di lavoro all’interno del quale accogliere una pluralità di voci, di diversa provenienza ed età, non escluse le rappresentanti della Casa delle donne, che insieme all’amministrazione disegnino il nuovo progetto della Casa delle donne che successivamente sarà oggetto di una futura procedura ad evidenza pubblica per consentire ai diversi soggetti e diverse associazioni, di partecipare e lavorare per la crescita delle donne, di tutte le donne, della città di Roma». In sintesi: la Casa non chiude, ma nelle intenzioni del comune questa Casa - la Casa che accompagna le donne romane da 35 anni - non ci sarà più.

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