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Casi imprevedibili e rischio di effetti perduranti

Ripresa, nuovo covid e guerra ucraina hanno sparigliato, ma il rischio ora è che si consolidi la tendenza

di Carlo Altomonte

(AdobeStock)

3' di lettura

Il tasso di inflazione nell’eurozona continua a macinare record: a giugno aveva fatto segnare l’8,6%, un livello drammaticamente superiore all’obiettivo Bce previsto intorno al 2%, e anche molto lontano da quella previsione di “deviazione temporanea al rialzo” che sia Fed che Bce formulavano solo qualche mese fa. Anche l’inflazione core, depurata dalla componente di energia e beni alimentari, risulta elevata, al 4,3 per cento.

Ci risiamo dunque con gli economisti che non sono in grado di prevedere i più importanti fattori di rischio del ciclo economico, come già accaduto con la crisi finanziaria del 2008? In realtà il rischio di una inflazione in salita era stato anticipato da parte del sistema economico, come sottolineato a suo tempo dalle stesse banche centrali, ma sottovalutandone intensità e durata. Le ragioni sono legate all’intrecciarsi di almeno tre diversi fattori, solo in parte prevedibili.

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Il primo fattore, che ha mosso i modelli di inflazione degli analisti già durante i primi mesi del 2021, è legato alla natura della ripresa post pandemica, alimentata in Europa e Stati Uniti dalla campagna vaccinale, e dagli straordinari stimoli monetari e fiscali (questi ultimi pari ad oltre il 10% del Pil su entrambe le sponde dell’Atlantico). Questa ripresa è stata caratterizzata, almeno in una prima fase, da un aumento della domanda di beni superiore a quella dei servizi. In sintesi, durante il 2021, complici le restrizioni sanitarie ancora in vigore, abbiamo acquistato online più frequentemente di quanto siamo andati al ristorante. La produzione industriale, scarica di scorte e con processi produttivi ancora soggetti alle regole pandemiche, ha faticato ad adeguarsi, il che ha creato un primo shock inflattivo, previsto nei modelli IMF a cavallo tra 2021 e 2022 tra il 4 e il 6% (a seconda degli scenari sulle materie prime), e stimato della durata di qualche mese.

A questo primo shock si è tuttavia progressivamente sommato nel corso del 2021 un secondo fattore di perturbazione delle catene globali del valore, ossia l’emergere della variante omicron del CoViD. Come è noto questa variante è meno mortale delle precedenti ma molto più diffusiva, in particolare in quei Paesi, e sono la stragrande maggioranza dei Paesi emergenti, che non hanno completato la copertura vaccinale. Il risultato è stato una notevole incidenza dei contagi in diversi Paesi produttori (non solo in Cina), con una efficienza del processo di produzione internazionale stimata in calo di oltre il 50% nella seconda metà del 2021 (dati WEO) tra ritardi, blocchi, cancellazioni, etc. Questo secondo effetto della pandemia, non prevedibile, ha contribuito ad accelerare in maniera significativa le dinamiche inflattive nei Paesi avanzati ad inizio 2022.

A fine febbraio è poi arrivato il conflitto ucraino, che ha impattato con un significativo shock di prezzo almeno due filiere chiave dei processi produttivi internazionali, ossia quella energetica e quella alimentare. A seguito di questi continui nuovi shock l’inflazione perde il carattere di temporaneità che tecnicamente sarebbe associato al singolo episodio rialzista, ed inizia ad assumere permanenza nel tempo, obbligando le banche centrali ad una drammatica rincorsa. Una inflazione duratura nel tempo, infatti, qualunque siano le cause, finisce per modificare i comportamenti di imprese e consumatori. Le imprese nel breve periodo tendono ad assorbire nei margini i rialzi dei prezzi degli input, quando questi sono percepiti come temporanei. Tuttavia aumenti che tendono a persistere nel tempo obbligano le imprese a rivedere al rialzo i prezzi, generando un “contagio” di inflazione dagli input produttivi ai beni finali che entrano nel paniere di spesa delle famiglie.

I consumatori a loro volta registrano la perdita di potere d’acquisto che deriva da questi rialzi dei prezzi, e nel breve periodo contraggono la domanda di beni e servizi. Tuttavia, se i rialzi sono persistenti, prima o poi i consumatori/lavoratori reagiranno iniziando a richiedere maggiori salari. Una volta che questi aumenti salariali sono stati ottenuti, le imprese registreranno anche questi input al rialzo, e da qui il cerchio si chiude, con il sistema economico che inizia ad incorporare aspettative di inflazione sistematicamente più elevata nel tempo. Ma a quel punto il genio dell'inflazione sarebbe (di nuovo) fuori dalla bottiglia, e questo le banche centrali non possono permetterlo.

Docente di Politica Europea, Università Bocconi

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