Caso Nori, la «toppa» della Bicocca peggio del buco. Ma Dostoevskij è nostro alleato contro Putin
L’Università milanese prova a salvare il corso sul grande romanziere russo «affiancandolo» a un romanziere ucraino. Il professore rifiuta
di Francesco Prisco
I punti chiave
3' di lettura
Non c’è guerra senza vittime innocenti. La barbara invasione dell’Ucraina ordinata da Putin non fa eccezione: muoiono i civili da Kiev a Kharkiv e qui da noi può persino capitare che muoia il buonsenso. E che Fëdor Dostoevskij, forse il più grande romanziere della storia della letteratura universale, si ritrovi sulla lista dei proscritti con la sola colpa di essere russo. Aggravata dal fatto di essere morto 141 anni fa e non potere, quindi, prendere le distanze dal governo di Mosca. È successo a Milano dove Paolo Nori, scrittore e russologo incaricato dall’Università Bicocca di tenere quattro lezioni sull’autore di Umiliati e offesi, si è visto recapitare una surreale mail dall’ateneo.
Dostoevskij «umiliato e offeso»
C’era scritto: «Caro professore, il prorettore alla didattica ha comunicato la decisione presa con la rettrice di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è evitare qualsiasi forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione». Dopo che Nori ha raccontato la vicenda in una diretta Instagram, suscitando l’indignazione di intellettuali e appassionati, la rettrice Giovanna Iannantuoni ha fatto dietrofront, parlando di «un malinteso in un momento di grande tensione».
L’intenzione era quella di salvare le quattro lezioni milanesi di Nori su Dostoevskij, pur con qualche aggiustammento: «Il prorettore di Bicocca Casiraghi racconta i motivi per cui hanno sospeso il mio corso», ha rimarcato Nori su Facebook. «Per “ristrutturare il corso e ampliare il messaggio per aprire la mente degli studenti. Aggiungendo a Dostoevskij alcuni autori ucraini”. Non condivido questa idea che se parli di un autore russo devi parlare anche di un autore ucraino, ma ognuno ha le proprie idee. Se la pensano così, fanno bene. Io purtroppo non conosco autori ucraini, per cui li libero dall’impegno che hanno preso e il corso che avrei dovuto fare in Bicocca lo farò altrove», ha chiosato lo scrittore. Quando si dice: la toppa peggio del buco. Comunque la mettiate, questa storia piena di paradossi ci invita a riflettere su due o tre cose. Tutte riguardanti il particolarissimo momento che stiamo vivendo.
Guai a confondere governi e popoli
Tanto per cominciare, è encomiabile quanto inedita la compattezza che le democrazie occidentali stanno mostrando contro il regime di Putin, legittima e apprezzabile la decisione di chiedere a tutti gli opinion leader russi di prendere le distanze dai fatti ucraini ma guai a confondere governi e popoli. Tanto più che il popolo russo potrebbe avere un ruolo importante in questa guerra. Difficile infatti pensare che l’Armata Rossa possa andare incontro a una sconfitta sul campo a Kiev. L’unica speranza è che a Mosca - dove manifestare contro l’ordine costituito è estremamente pericoloso - aumenti il fronte del dissenso.
La censura non può essere la risposta
La censura è uno strumento dei regimi autocratici che suona molto male dove c’è democrazia. Non è con la chiusura che, da queste parti, siamo abituati a vincere le guerre. Nessuno, in Occidente, si è mai sognato di vietare il cinema di Ėjzenštejn durante la Guerra Fredda, così come ancora oggi sono libero di uscire di casa per comprare una copia di Mein Kampf con tutte le assurdità che contiene. Leggere per conoscere, conoscere per capire: non può essere che questo lo spirito. Anche quando, dopo aver capito, non puoi far altro che condannare.
Non c’è niente da censurare in Dostoevskij
Se poi entriamo nel merito, non c’è un solo rigo di Dostoevskij che possa creare imbarazzi o fraintendimenti con la guerra in Ucraina a fare da sfondo. Anzi: si può dire che, assieme a quell’inguaribile pacifista di Tolstoj, sia il nostro più grande alleato contro tutto ciò che Putin rappresenta. Abbiamo seri dubbi sul fatto che il presidente russo abbia letto sia l’uno che l’altro. In compenso Dostoevskij, che nell’Idiota chiese conto a Dio del fatto che i bambini muoiono, non avrebbe esitato a farsi ancora una volta imprigionare nella Fortezza di Pietro e Paolo per chiedere conto all’ultimo zar di tutto questo scempio.
Sono ben altri i russi «imbarazzanti»
Effettivamente qualche pensatore russo «imbarazzante» c’è. Vedi alla voce Alexandr Dugin, ideologo della cosiddetta Quarta teoria politica che predica un improbabile ibrido tra nazionalismo e bolscevismo e auspica l’unificazione di tutti i popoli di lingua russa, dai Balcani alla Siberia. Pare che il presidente russo sia un suo fan. Qui da noi, ai tempi del governo giallo-verde, vantava non pochi estimatori. Oggi è passato un po’ di moda, ma i suoi libri, se li cerchi, sono ancora disponibili. Neanche lui merita la censura. Perché, da questa parte della storia, non siamo come lui. Può sembrare debolezza, ma è la nostra forza.
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