Catalogna, 200mila manifestanti a Barcellona per i due leader arrestati
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Duecentomila persone manifestano nel centro di Barcellona per chiedere la liberazione dei due dirigenti indipendentisti, Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, accusati di “sedizione” e arrestati lunedì sera per ordine di un giudice spagnolo. Le stime sono della polizia urbana della capitale catalana.
Candele accese in mano, la folla grida “Libertat!”. Manifestazioni
pacifiche parallele si svolgono in altri centri della Catalogna.
Il governo catalano ha deciso di rispondere al secondo ultimatum di Madrid che scade giovedì mantenendo l’offerta di dialogo senza cambiare sostanzialmente i termini della prima risposta ritenuta «non valida» dal governo spagnolo. Il portavoce Jordi Turull ha detto che il Govern chiederà a Madrid «se vuole parlare. Sì o no? In base alla risposta, agiremo». Turull ha aggiunto: «Il nostro impegno con i risultati del referendum di indipendenza è totale. Lo stesso esecutivo regionale condanna come «una vergogna democratica» gli arresti dei dirigenti indipendentisti Jordi Sanchez e Jordi Cuixart.
«Ciò che non aveva osato fare il franchismo - ha aggiunto Turull - lo ha fatto un tribunale del Ventunesimo secolo.Due persone innocenti sono state private di libertà da un tribunale incompetente per reati inesistenti». La Corte costituzionale spagnola ha intanto bocciato in forma definitiva la legge sul referendum adottata il mese scorso dal parlamento catalano, che allora aveva immediatamente sospeso in forma cautelare. Il governo catalano aveva comunque organizzato il referendum di indipendenza dell’1 ottobre, nonostante il divieto di Madrid, vinto con il 90,1% dai «sì». La decisione di annullare la legge catalana è stata presa all’unanimità dalla Consulta spagnola.
Lunedì sera il Tribunale spagnolo aveva deciso di lasciare in libertà il capo dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, Josep Lluis Trapero, con alcune misure cautelari, tra cui il ritiro del passaporto e l’obbligo di firma ogni 15 giorni. Respinta quindi la richiesta di arresto avanzata dalla procura. La procura di Madrid è stata però accontentata nella richiesta di arresto dei leader di Anc e Omnium, le grandi organizzazioni della società civile indipendentista, Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, accusati di «sedizione» per le manifestazioni pacifiche del 20 e 21 settembre a Barcellona. In serata, l’arresto dei due leader indipendentisti è stato eseguito dopo l’interrogatorio da parte del giudice della Audiencia Nacional, Carmen Lamela.
«La Spagna incarcera i leader della società civile della Catalogna per avere organizzato manifestazioni pacifiche. Purtroppo ci sono di nuovo prigionieri
politici»: così il presidente catalano Carles Puigdemont ha reagito su twitter.
Il vicepresidente della Anc Agustì Alcoberro ha condannato gli arresti e ha definito i due leader “ostaggi politici nelle mani del governo spagnolo”. Alcoberro ha lanciato un appello alla mobilitazione del popolo della Catalogna. “Siamo indignati” ha detto a Tv3 il segretario di Omnium Jordi Bosch, che ha invitato i catalani “alla serenità e al pacifismo” davanti a “questa provocazione”.
Intanto, il parlamento catalano ha deciso di sospendere la sessione in programma mercoledì e giovedì di questa settimana a causa della «situazione eccezionale che vive la Catalogna e della possibile attivazione dell’articolo 155 della Costituzione» allo scadere del secondo ultimatum, giovedì. La decisione è stata presa dalla conferenza dei capigruppo per iniziativa dei gruppi indipendentisti che hanno la maggioranza assoluta nel Parlament.
Sono giorni di grande tensione tra Madrid e Barcellona. La procura spagnola aveva chiesto l’arresto per sedizione per il capo dei Mossos d'Esquadra. In mattinata era stata interrogata come imputata pure per presunta «sedizione» l’intendente dei Mossos Teresa Laplana, che il magistrato aveva lasciato in libertà imponendole però di non uscire dal territorio nazionale con ritiro del passaporto e l’obbligo di firmare ogni 15 giorni.
Il Paese attende un pronunciamento definitivo da parte del presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, sulla validità (o meno) della secessione annunciata lo scorso martedì. Il leader catalano dovrà chiarire se ha dichiarato o meno l’indipendenza della Catalogna entro le 10 di giovedì prossimo. Puigdemont ha inviato una lettera al primo ministro Mariano Rajoy, nella quale conferma l’indipendenza della regione ma chiede «due mesi di dialogo» per portare avanti le trattative. La replica non ha soddisfatto Madrid e spiana la strada all’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, quello che prevede l’attuazione di misure straordinarie sulla regione. Con una lettera ufficiale, Rajoy ha ribadito che Puigdemont sarà «l’unico responsabile dell’applicazione della Costituzione», alludendo alla presa di posizione che emergerà in via definitiva a metà settimana. Il premier ha spiegato che l’intervento non prevederebbe «la sospensione dell’autonomia», anche se «deplora profondamente» il fatto che il leader catalano abbia «deciso di non rispondere».
In mattinata si è espressa sul tema anche il vice premier spagnolo Soraya Saenz de Santamaria, con una conferenza stampa a Madrid dove ha invitato il leader catalano a fornire la «chiarezza che tutti i cittadini chiedono» sulla questione. «Non era difficile rispondere sì o no - ha detto - Ora Puigdemont ha l’opportunità di rettificare, perché il dialogo va fatto nella legalità».
Cosa dice la lettera di Puigdemont
Madrid aveva chiesto una risposta secca (sì o no) entro le 10 di stamattina, per capire se procedere con l’attivazione delle «misure eccezionali» paventate in caso di secessione unilaterale della regione. Puigdemont ha fornito una risposta ambigua, in una lettera di quattro pagine inviata a Rajoy. Nel documento, circolato in mattinata sui media, il presidente ribadisce da un lato che «più di due milioni di catalani hanno dato al parlamento regionale il mandato democratico per dichiarare l’indipendenza», convalidando di fatto i risultati della consultazione; dall’altro mantiene la linea del dialogo, cercando un’ulteriore finestra di 60 giorni: «La nostra offerta per il dialogo è sincera e onesta - si legge nel documento - Nel corso dei prossimi due mesi, il nostro obiettivo principale è di avere un dialogo e che tutti le istituzioni internazionali, spagnole e catalane che hanno espresso la volontà di aprire la strada al dialogo, la possano esplorare davvero».
Più vicina l’attivazione dell’articolo 155
Proprio la (mancata) risposta di Puigdemont era la premessa per l’attivazione dell’articolo 155, la procedura che porta alla sospensione dell’autonomia della regione. La vicepremier Saenz de Santamaria ha precisato comunque che non si tratta di «sospendere l’autogoverno, ma di far sì che l’autogoverno si esegua nel rispetto della legge». Tra le prime misure eccezionali contemplate ci potrebbero essere il controllo sulle finanze della regione e sui Mossos, la polizia locale, sotto indagine per sedizione dopo l’insubordinazione di alcuni agenti durante il voto dello scorso 1 ottobre. Gli analisti interpellati dai media locali spiegano che la «non-risposta» di Puigdemont è «abbastanza» per far scattare le misure previste dalla Carta costituzionale, mai attuate dal 1978 ad oggi. Xavier Garcia Albiol, il capo del Partito popolare in Catalogna, ha scritto in un tweet che «è evidente che ques’uomo (Puigdemont, ndr» è irresponsabile e vuole distruggere tutto».
Borse: Madrid apre in rosso, rischi instabilità
Il nervosismo si fa sentire anche sui listini. L’Ibex 35, l’indice che raccoglie le società a maggior capitalizzazione della Spagna, ha aperto in flessione di quasi l’1% e viaggia ancora in terreno negativo. Il ribasso può essere imputato ai timori per l’instabilità che si innescherebbe con l’attivazione dell’articolo 155: un caso senza precedenti nella storia nazionale, giudicato come la «peggiore crisi del Paese dal tentato golpe del 1981» ad oggi. La Catalogna incide per un quinto sul Pil del paese e si è dovuta misurare, nelle ultime settimane, con la fuga di aziende e banche spaventate dalle prospettive di isolamento della secessione. In caso di rottura con Madrid, la regione non rientrerebbe nel perimetro né dell’Unione europea né della moneta unica (anche se potrebbe comunque ricorrere alla valuta, come già succede ad esempio nel Montenegro).
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