Catalogna, le ragioni e le colpe di un conflitto senza via d’uscita
Cosa ci dobbiamo aspettare in Catalogna dopo le condanne dei leader indipendentisti decise dalla Corte suprema? Quale sarà l’impatto della sentenza sulla politica spagnola e sulle elezioni nazionali del 10 novembre? Chi sono i leader catalani che continuano a sfidare la Spagna? A Madrid c’ è un governo in grado di tenere sotto controllo il conflitto? Ma soprattutto, esiste una soluzione alla questione catalana?
di Luca Veronese
7' di lettura
«Non cambia mai nulla, tutto si ripete ogni anno sempre uguale», dice Maria Ramirez, 20 anni, studentessa di Informatica all’Università di Barcellona. «Le bandiere catalane alle finestre, le manifestazioni - continua - lungo le strade con centinaia di migliaia di persone, le grida e gli slogan, la polizia pronta a intervenire con i caschi e i manganelli».
Cosa ci dobbiamo aspettare in Catalogna dopo le condanne dei leader indipendentisti decise dalla Corte suprema? Quale sarà l’impatto della sentenza sulla politica spagnola? Chi sono i leader catalani che continuano a sfidare la Spagna? A Madrid c’ è un governo in grado di tenere sotto controllo il conflitto? Ma soprattutto, esiste una soluzione alla questione catalana?
«Siamo stanchi delle dichiarazioni dei leader politici, una uguale all’altra, impossibili da distinguere nel passare del tempo: che si tratti di chi vuole l’indipendenza o di quelli che, a Madrid o nella nostra città, difendono la Spagna. Tutto sempre uguale, fermo come in un quadro surrealista di Dalí», continua Maria, mentre si avvia verso casa, lungo la Gran via de les Corts Catalanes.
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«La mia famiglia viene dall’Andalusia, solo mio fratello ed io siamo nati qui, ma ho votato al referendum di due anni fa, e ho votato per il sì all’indipendenza: per dimostrare a Madrid che siamo noi a decidere. Ma tutto quello che è successo dopo, la prigione per i capi dei partiti nazionalisti, il processo e le condanne, non hanno fatto altro che allontanare la soluzione, anzi di rendere più cattivo lo scontro».
La sentenza storica contro i leader indipendentisti
Con una sentenza storica, il 14 ottobre, la Corte suprema di Madrid ha condannato i leader indipendentisti catalani , colpevoli di aver tentato di sovvertire l’ordine pubblico della Spagna con il referendum sulla secessione organizzato nell’ottobre del 2017 e con la conseguente proclamazione della Repubblica indipendente di Catalogna nell’Assemblea regionale. Pesantissime le pene inflitte dai giudici del Tribunale supremo che hanno escluso il reato più grave di ribellione, chiesto dall’accusa, ma che con la condanna per sedizione (e abuso di fondi pubblici) hanno aperto una nuova fase di tensione con il fronte dei partiti nazionalisti che insistono sulla secessione della Catalogna.
È stato condannato a 13 anni di reclusione per sedizione e malversazione, Oriol Junqueras, ex vicepresidente della Generalitat e capo della Sinistra Repubblicana catalana, rinchiuso in carcere da quasi due anni. È stata condannata, per un totale di cento anni di carcere, tutta la prima linea dei partiti indipendentisti. Altri leader catalani , come Carles Puigdemont, sono fuggiti all’estero per evitare la prigione. Ma gli indipendentisti non si arrendono. «Non c’è altra soluzione che una Catalogna libera e indipendente», ha detto Junqueras dal carcere. Puigdemont dal Belgio ha accusato lo Stato spagnolo di agire «per vendetta». Quim Torra, l’attuale governatore della regione ha rilanciato (tra lo stupore di tutti, compresa la sua parte politica) promettendo «un nuovo referendum e l’indipendenza entro il 2021».
La tensione nelle strade di Barcellona
Da giorni, dopo le condanne della Corte suprema, le manifestazioni di protesta del fronte indipendentista sono tornate a riempire le strade di Barcellona e delle città catalane. Cassonetti dell’immondizia e a auto date alle fiamme, metropolitane e treni bloccati, scontri violenti con la polizia, centinaia di arresti, decine e decine di feriti da entrambe le parti. E uno sciopero che ha paralizzato Barcellona: negozi vuoti, fabbriche ferme, chiusa anche la Sagrada Familia, rimandato per non correre rischi anche el clasico che Barca e Real Madrid avrebbero dovuto giocare il 26 ottobre.
Il premier socialista Pedro Sanchez è stretto tra la destra che vorrebbe un intervento deciso e muscolare contro gli indipendentisti e la sinistra estrema che chiede, senza spiegare come, un accordo politico con Barcellona. «L’esercizio del diritto di manifestazione è l’espressione e la forza della nostra democrazia. In Spagna sono rispettate tutte le libertà, i diritti e le opinioni. Nessuno è sanzionato per questo, solo per le proprie azioni quando queste sono contrarie alla legalità democratica», ha detto il premier spagnolo chiarendo tuttavia che «il diritto di manifestare deve essere concesso da tutti i poteri pubblici ma anche essere esercitato in modo assolutamente pacifico, senza colpire gli altri cittadini che non partecipano alla protesta».
La campagna elettorale è già iniziata
Subito dopo la sentenza lo stesso Sanchez aveva commentato: «Nessuno è al di sopra della legge, in Spagna non ci sono prigionieri politici ma piuttosto alcuni politici in prigione per aver violato leggi democratiche». Ma aveva anche aperto ai leader nazionalisti catalani: «È per tutti urgente la necessità di aprire un nuovo capitolo basato sulla coesistenza pacifica in Catalogna attraverso il dialogo nei limiti della Costituzione spagnola». La campagna elettorale che porterà al voto del 10 novembre è già entrata nel vivo. Dalle elezioni, per la quarta volta in quattro anni, uscirà quasi certamente un Parlamento frammentato, incapace di esprimere una maggioranza di governo stabile.
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E la Catalogna diventa il centro dello scontro: la destra - dai Popolari di Pablo Casado a Ciudadanos con Alberto Rivera, fino ai neo-franchisti di Vox - potrebbe trarre vantaggio dal conflitto in Catalogna. Per Sanchez potrebbe essere rischioso oscillare troppo tra la fedeltà alla Costituzione e la necessità, sempre più evidente, di dialogo. Mentre Unidas Podemos è l’unico tra i grandi partiti nazionali a insistere sul diritto di decidere dei catalani,anche attraverso un nuovo referendum.
«Sanchez ha perso il controllo dell’agenda della campagna, la sentenza lo mette in una situazione sfavorevole alla destra», dice Oriol Bartomeus, politologo e docente di Scienze politiche all’Università autonoma di Barcellona. «D’altra parte - aggiunge Bartomeus - non credo che i leader indipendentisti vorranno continuare a spingere sulla secessione rapida. Ascolteremo molte dichiarazioni roboanti, ci sarà molto rumore ma non ci saranno battaglie come quella del 2017 con il referendum e tutto quello che è venuto dopo».
Cosa accadrà nei prossimi mesi in Catalogna?
Il fronte indipendentista catalano è diviso. Mentre Torra e i conservatori , eredi della tradizione di Jordi Pujol e poi di Artur Mas, vorrebbero arrivare a un nuovo referendum in tempi rapidi e (almeno a parole) allo scontro definitivo, la Sinistra repubblicana di Junqueras sembra intenzionata a mettere in atto un piano che ha bisogno di tempo per prendere ancora più saldamente il controllo delle Catalogna - i palazzi delle istituzioni, gli uffici dell’amministrazione, le organizzazioni culturali, le fondazioni legate alla finanza e al business - per realizzare l’indipendenza nei fatti, non solo a Barcellona ma nella provincia, senza dover chiedere nulla alla Spagna.
Fino a quando al governo della Spagna ci saranno i Socialisti sarà molto difficile che venga di nuovo applicato l’articolo 155 della Costituzione con il commissariamento della Generalitat e l’azzeramento dell’autonomia regionale. Ma l’incertezza a Madrid si farà sentire anche nella gestione del conflitto con la Catalogna. «Ai giudici non si poteva chiedere né una sentenza esemplare, come volevano alcuni, né una sentenza che potesse facilitare la soluzione della questione politica che riguarda la Catalogna.
Le ragioni per le quali si è arrivati a questa situazione e la responsabilità di trovare una soluzione alla questione politica pesa su quanti hanno incarichi politici a Madrid e a Barcellona», dice il costituzionalista basco Alberto Lopez Basaguren, uno dei massimi esperti dei processi indipendentisti, anche per avere studiato a lungo i casi di Scozia e Quebec.
La spaccatura nella società catalana
La contrapposizione tra l’indipendenza della Catalogna e la Costituzione spagnola è insanabile. Così come è sempre più profonda la spaccatura all’interno della società catalana. Le motivazioni economiche emerse nella lunga recessione tra il 2010 e il 2013 hanno solo esacerbato un conflitto che è culturale, forse ideologico. «I governi di Madrid, soprattutto con Mariano Rajoy e i Popolari, hanno sbagliato nel cercare una via giuridica e nell’utilizzare la forza per frenare le rivendicazioni degli indipendentisti», spiega Basaguren.
«Ma gli indipendentisti - aggiunge lo studioso - chiedono l’indipendenza senza avere dimostrato di avere una maggioranza, anche se dietro di loro c’è una parte qualitativamente molto rilevante della società catalana». Alle elezioni regionali del 2015 il fronte per l’indipendenza ha ottenuto il 47,5% dei consensi, con poco più di due milioni di voti su un totale di 4,4 milioni di catalani che andarono alle urne.
Non si è mai affermata chiaramente in questi anni una maggioranza di catalani a favore della rottura con Madrid (per il diritto di decidere in un referendum, o per una maggiore autonomia, la maggioranza è invece ampia): nell’ultimo sondaggio diffuso dalla Generalitat solo il 44% dei catalani si è espresso per la secessione mentre il 48% della popolazione si è detto contrario.
Esiste una soluzione al conflitto tra Barcellona e Madrid?
Per Basaguren, «l’unica soluzione al conflitto è una profonda modifica della Costituzione spagnola, in senso federale. Non ci si può accontentare - dice - di un patto tra élites di partito che avrebbe durata breve». Una soluzione dunque politica e negoziata che al momento non trova alcuno spazio nelle parole dei leader politici e in quelle che si sentono nelle strade della regione. «Ero alle scuole elementari quando nel 2012 la Diada è diventata la festa per rivendicare l’indipendenza contro la Spagna.
E oggi siamo ancora qui, allo stesso punto, forse solo l’odio tra le due parti è cresciuta», dice Maria Ramirez. La sua delusione è quella di tutta la Catalogna, spaccata in due ma unità nella mancanza di speranze. «Ma la Spagna e la Catalogna usciranno mai da questa crisi? Ci vorranno anni - chiude Basaguren - e se ne uscirà comunque male, sempre che si riesca a uscirne. Le ferite saranno gravissime, la società catalana è ormai profondamente divisa».
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